

In tempi di negoziati di pace o meglio di tentativi,
in Pakistan e in Afghanistan, su Karzai si scatena l'ennesima bufera che, a tempi alterni, lo caccia dalla povere all'altare e viceversa. Il New York Times di qualche giorno fa, ha scritto che il presidente
ha un canale segreto di dialogo coi talebani. In un certo senso è una notizia vecchia (si dice da sempre), dall'altra parte è una notizia, basata su pure illazioni, che in questo momento aiuta soprattutto a diminuire la fiducia nei confronti del presidente afgano, considerato ormai non più un alleato affidabile. La notizia è comunque stata
smentita drasticamente dai talebani. Notizia circolatata in un momento delicato e poco prima che Obama riunisse il consiglio col quale prende le decisioni più gravi. Ormai tutti sanno che Karzai non firmerà il Patto di sicurezza bilaterale (Bsa) e che si dovrà aspettare il dopo elezioni nel quale, come hanno chiarito nel
primo dibattito televisivo pubblico cinque degli 11 candidati presidenziali (compresi quelli sostenuti da Karzai), il Bsa verrà firmato senza se e senza ma.

La posizione di Karzai ha una sua logica benché si tratti di una logica molto individuale: non lasciare di sé una cattiva immagine dopo tre mandati presidenziali. Abbiamo già accennato alla
sindrome Shah Shuja, cui va ad aggiungersi anche la
sindrome Gandamak, elemento che abbiamo sentito citare dallo stesso Karzai.
Gandamak, oltre a essere un
noto ristorante-locale di Kabul, frequentato da diplomatici, giornalisti, contractor e spioni, è un villaggio - o meglio un'area - nota per le molte battaglie tra afgani e inglesi e il punto di non ritorno, in un certo senso, della Prima guerra anglo afgana. Ma è soprattutto il luogo in cui fu firmato il Patto di Gandamak (Gandamak Treaty) nel 1879 tra Yaqub Khan e Lord Cavagnari, di origini italiane (nell'immagine durante il patto).