Candidati riformisti decimati.
Campagna elettorale piena di limitazioni.
Apatia e voglia di protesta hpotrebbe produrre una forte astensione.
La repubblica islamica sceglie il nuovo parlamento. Senza crederci moltoNella foto Ali Khamenei
Emanuele Giordana
Venerdi' 14 Marzo 2008
Nell'immagine la guida suprema ayatollah Ali Khamenei
Benché un sondaggio pubblicato ieri dalla Iran, l'agenzia di stampa ufficiale della repubblica islamica, sostenga che andrà a votare il 50% degli aventi diritto al voto a Teheran e il 60% degli stessi nelle maggiori città, il fantasma dell'astensionismo è in agguato in queste elezioni parlamentari iraniane. Non è una novità in un paese dove, alle ultime consultazioni nel 2004 aveva votato appena il 51%. Ma l'atmosfera generale racconta una grande indifferenza verso elezioni che a molti iraniani, specie giovani, sembrano una farsa e dove la scelta di non votare è anche un segnale, oltre che disaffezione e di apatia, anche di protesta. Per i conservatori, riuniti in due coalizioni e che sono dati favoriti, un'affermazione con una ancor più bassa affluenza sarebbe un cattivo segnale. Non basterà dunque vincere sui riformisti, messi in seria difficoltà non solo dal veto su almeno duecento candidature ma anche da come è stata organizzata una campagna elettorale durata pochissimo, con moltissimi divieti – dai poster agli assembramenti – e che si conclude prima della festa del Nevroz, il capodanno sciita. “Molta gente – commenta un giornalista britannico - sembra più interessata a fare shopping che a deporre il suo voto nell'urna”.La televisione invita ad andare a votare così come ha fatto a più riprese la guida suprema ayatollah Ali Khamenei, che ha spiegato ai “fedeli” che votare è un obbligo islamico. Così almeno si declina il diritto dovere nella repubblica islamica dove però non tutti la pensano così: in un'intervista alla televisione italiana, il grande dissidente col turbante, l'ayatollah Hossei Ali Montazeri ha detto chiaramente che «Queste non sono vere elezioni, ma nomine», riferendosi al modo in cui il Consiglio dei guardiani, il custode della purezza delle istituzioni, ha vagliato, deciso ed epurato le liste di candidati. Perché l'Iran è anche questo: un regime con mille restrizioni ma dove esiste una sorta di esercizio della democrazia che permette da Montazeri di parlare. Anche se la sua voce rischia di arrivare solo agli italiani e non ai suoi connazionali.Del resto il sentimento generale è che, in queste lezioni parlamentari è che i riformisti, rappresentati dall'ex presidente Khatami, non ci abbiano messo troppa energia fors'anche perché giudicano inutile perdere troppa a energia in una corsa dove sono state epurati il 40% dei candidati e dove il fronte riformista è stato decimato dei suoi nomi più importanti. Dei circa 4500 candidati su cui si dovrebbero esprimere i circa 43 milioni di iraniani che hanno compiuto 18 anni e che concorrono ai 290 posti del parlamento (cinque scranni sono riservati alle minoranze religiose: due agli armeni ortodossi, uno ai cattolici assiri e caldei, uno agli zoroastriani e uno agli ebrei) la gran maggioranza fanno parte delle due formazioni conservatrici: il Fronte e unito e la Coalizione allargata che in realtà sono molto simili salvo le differenze ch43 dovranno dire che ancora sta con Ahmadinejad (è il Fronte a sostenerlo) e chi invece che il “nuovo corso” che fa riferimento all'ex negoziatore sul nucleare Ali Larijani, al sindaco di Teheran Mohammad Baqer Qalibaf e all'ex comandante dei Guardiani della rivoluzione, Mohsen Rezai. Un test, dicono alcuni, per vedere come posizionarsi nelle future presidenziali dove si deciderà il futuro dell'ex sindaco di Teheran. Quanto alla colazione dei riformisti, ha solo 133 candidati (contro gli oltre 500 delle due formazioni conservatrici) ha perso tutti i nomi più importanti e si deve accontentare del sostegno degli ex presidenti Mohammad Khatami e Akbar Hashemi Rafsanjani che questa volta sposano la medesima causa nel tentativo di dare un segnale al comune rivale Ahmadinejad.Il convitato di pietra è comunque tutt'altro che ideologico e ha più teste: inflazione, disoccupazione e, nelle grandi città, prezzi alle stelle per case e affitti e nonostante le vendite del greggio abbiano portato in Iran 63 miliardi di dollari. Ahmadinejad, che ha impostato tutta la sua campagna presidenziale sui toni populistici del sostegno ai diseredati, teme probabilmente che il voto, o il non voto, possano esprimere un'erosione del consenso palpabile anche se forse non in grado di rafforzare come sarebbe necessario i riformisti. Erosione del consenso difficile da combattere con la retorica dell'orgoglio nazionale o con la resistenza agli attacchi del nemico americano e sionista.
1 commento:
Ma come reagirà la politica italiana dopo il 13 aprile all'appello di afgana?
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