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sabato 19 aprile 2008

IL PARTITO FEDERALISTA DEMOCRATICO



Ieri su uno dei quotidiani più letti d'Italia, è uscito un editoriale senza firma (cosa rara per Repubblica) nel quale si invitava il Partito democratico e diventare anche, se non forse soprattutto, una forza locale. Una sorta di decentramento e di federazione per capire, in particolare, le ragioni del Nord, interpretarle meglio, vincere alle prossime elezioni. A una prima lettura sembrava di individuare una sorta di necessità a fare come la Lega, dove la Lega ha saputo raccogliere consensi nel Nord Italia grazie a un radicamento territoriale profondo e dove la sinistra avrebbe invece ignorato il nuovo modo di produzione, i "nuovi saperi" (così diceva l'editoriale) le spinte innovative di una piccola industria che non è solo un'industria piccola ma cuore e nerbo dell'economia del ricco settentrione. Sul giornale di oggi la cosa viene ripresa dai vertici del Pd in un palleggio che sembra suggerire come ormai al quotidiano di Ezio Mauro il Pd dia il peso che una volta si dava al giornale di Antonio Gramsci o, in tempi più recenti, a quello di Antonio Polito che di questa idea federale del Pd non hanno però mai parlato. L'idea di un editoriale "ispirato" non pare peregrina, ma non è questo il punto.
E' una buona idea formulare, per un Pd che si è dato come simbolo l'innovazione, l'idea che adesso dovrebbe rincorrerebbe la Lega con una sorta federalismo di partito? Sembra di capire che si vagheggi un'organizzazione federata dalle stimmate fortemente identitarie e localiste che, perché no, potrebbe persino sposare l'idea del federalismo fiscale o le famose gabbie salariali che in fondo a Palermo i dolci costano meno che in Via Torino a Milano. Non capisco ma, del resto, in questa Italia molto bizzarra è toccato oggi alla Lega rintuzzare Montezemolo per il suo attacco ai sindacati. Il Pd, non ancora settentionalizzato, non c'era arrivato. Forse più tardi nel pomeriggio...
* * *
Stavo guardando la copetina dell'ultimo Foreign Affairs. E mentre spulciavo l'articolo di Jerry Z. Muller sul nazionalismo etnico (una riflessione su come sta rapidamente cambiando il mondo senza che gli Stati Uniti se ne siano accorti essendo quel modello tanto lontano), ecco che ci appare l'idea di un Partito democratico identitario, quasi etnico potremmo dire. Che finalmente darà dignità ai lombardi, spezzerà le reni agli albanesi o li riconsocerà degni dell'Italia quando rispetteranno le regole che, per molti, significa detestare i propri conterranei che vengono a portar via il lavoro alla prima generazione, intergrata e, accidenti, ormai davvero italiana. Da lombardo felicemente residente a Roma, meridionalizzato per scelta, "terrone" per collocazione geografica, una gran tristezza mi ha assalito compitando tra Foreign Affairs e Repubblica. Uno medita sulla deriva etnico-nazionalista, l'altro sembra proporla come soluzione. O almeno indica una strada locale per risolvere un problema che non è mai stato tanto genrale. Dovremo chiedere il visto per passare il Po'? Dovrò mostrare il mio certificato di nascita per rivendicare l'assistenza sanitaria? Dovrò chiedere al Pd del Nord cosa pensa delle elezioni a Roma o potrò fare questa domanda soltanto nella capitale al partito di riferimento locale?
Non mi ci raccapezzo ma onestamente questa idea non mi piace affatto. Io, come diceva Giorgio Gaber, non mi sento italiano. Ma per fortuna o purtroppo lo sono

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