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venerdì 16 maggio 2008

LA CONFERENZA DI PARIGI SULL'AFGHANISTAN E IL FANTASMA DELLA POLITICA


Ovvero, se bastassero 50 miliardi di dollari per far uscire il paese (e noi) dalla palude della guerra che ieri ha ferito tre soldati italiani, uno dei quali ha perso un piede. Considerazioni su un appuntamento che promette di essere una riunione di condominio per discutere il bilancio

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Un fantasma afgano si aggira per l'Europa. Un fantasma che per adesso ha il nome vago della “Conferenza” che si terrà a Parigi il prossimo 12 giugno. Quando a sorpresa fu annunciata, quasi casualmente a un vertice della Nato dal roboante ministro francese Bernard Kouchner, a qualcuno sembrò che si fosse finalmente materializzate una vecchia idea della diplomazia italiana: quella della conferenza internazionale che aveva fatto capolino tra il febbraio e il marzo del 2007 – oltre un anno fa - e che sembrava una delle poche idee innovative per tentare di cambiare, più che il corso della guerra, il modo squisitamente militare in cui l'intera vicenda afgana è stata maneggiata. Poi però non se n'è più parlato e l'iniziativa è rimasta saldamente in mano Nato. Ed è stata la Nato a guidare le danze. L'impressione generale è stata che la politica, intesa come attività dell'intelletto civile, avesse fatto un passo indietro e che dunque la nebulosa della conferenza tale fosse rimasta. Dopo l'ultimo vertice della Nato a Bucarest nel marzo scorso qualcosa di nuovo aveva però fatto capolino, visto che anche la Nato fa politica: la necessità di un'“afganizzazione” del conflitto, passare cioè la palla direttamente agli afgani. Scelta sensata se accompagnata da un processo politico più ampio, che ancora non si vede...
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