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domenica 10 agosto 2008
I MILLENARI SEGRETI DEL TEATRO DANZA DI BALI
Al centro dello spiazzo arde una lampada posta su un alto piedistallo e circondata da fiammelle. Il coro, che può essere formato anche da un centinaio di danzatori, si accosta lentamente in due mezzi cerchi antagonisti emettendo con forti suoni gutturali il kecak-ecak-ecak. E' il fraseggio di rito che, ritmando l'avvicinamento dei danzatori, sale di tono fino a trasformarsi in un fragore onomatopeico che avvolge lo spettatore e lo proietta nel mondo fantastico della lotta tra l'esercito delle scimmie comandato da Hanuman e l'armata dei demoni guidata dal principe Rawana...
Innamoramento occidentale
Questo spettacolo, forse il più noto della complessa architettura del teatro danzante balinese, proviene da una tradizione antichissima le cui origini si perdono nella notte dei tempi. Ma forse pochi sanno che il kecak che vediamo oggi, in origine la più complessa danza sanghyang dedari, è in realtà una trasformazione introdotta nella prima metà del secolo scorso...dal cinema occidentale. La causa precisa dell'origine del kecak come rappresentazione autonoma si deve infatti alle necessità cinematografiche del regista tedesco Victor von Plessen che, negli anni Trenta, girò nel villaggio balinese di Bedulu “Die Insel der Damonen” (L'isola dei demoni), cui aveva collaborato come consulente artistico e “mediatore” culturale, Walter Spies, uno dei maggiori studiosi del teatro balinese. Spies era un artista tedesco di origini russe che, come accade anche oggi a chi visita l'arcipelago indonesiano, si era profondamente innamorato di questo vasto mondo insulare che conta 13mila isole. Nel 1923, durante la dominazione europea di quelle che una volta erano le Indie orientali della corona olandese, Spies andò a vivere a Giava ma poi, nel '27, Tjokorda Raka Sukawati, il principe balinese della “città degli artisti”, lo invitò a Ubud per un breve soggiorno che si trasformò in una scelta di vita e che vide Spies – che spaziava dalla pittura, alla danza, al teatro – rimanere a Bali sino alla sua morte nel 1942.
A Bali, Spies scoprì due cose: la prima era che l'sola aveva attratto una miriade di occidentali rimasti incantati dalla pubblicazione di un libro che nel '26 che aveva fatto il giro del mondo: Bali, popoli, terra, danze, feste e templi, del fotografo tedesco Gregor Krause. “La fama di Bali, terra paradisiaca - racconta Vito Di Bernardi nel suo documentato Giava-Bali, rito e spettacolo - incominciò a viaggiare per l'Europa e l'America”, contagiando con suggestioni di “bellezza tropicale, arte esotica, mistero e magia”, una folta schiera di scrittori, pittori, antropologi e semplici viaggiatori. Fu il caso del pittore messicano Miguel Covarrubias e di sua moglie Rose, appassionata fotografa, del musicista nordamericano Colin Mc Phee, della danzatrice e scultrice Claire Hot, dell'antropologa Jane Belo, della studiosa inglese Beryl de Zoete. Una colonia che finì con l'arricchirsi anche del bizzarro gentiluomo cremasco Leonardo Bonzi che su Bali girò, negli anni Cinquanta, un bellissimo documentario, “L'isola degli dei” (ora disperso in qualche teca della Rai), viaggiando in lungo e in largo l'arcipelago su un mercantile bughinese artigianalmente costruito a Makassar, nelle Sulawesi, e riadattato dal nobile lombardo come yacht da crociera e luogo di produzione cinematografica....
L'intero articolo è stato pubblicato daL mensile Geo in edicola
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