Visualizzazioni ultimo mese

Cerca nel blog

Translate

lunedì 29 dicembre 2008

LA NEVE (E I RAZZI) SOPRA KABUL



Fuori dalla finestra fiocca. “Fioca”, come dicono dalle mie parti. Son le sei del mattino (le 2 e mezza in Italia) e la città ancora dormicchia. Verso le otto sentiamo ballare la sedia sotto le terga. Il terremoto (poi sapremo localizzato molto a Nord, in montagna, e senza danni alle persone o alle cose) dura poco ma preferisco andare sul balcone e mi metto per precauzione sotto lo stipite della porta coem mi hanno insegnato. La neve è già acqua intanto. (A sinistra un paesaggio del Nord dopo il disgelo, fotografato da Romano Martinis)

* * *

Il rigido inverno afgano per adesso non è ancora arrivato. I mesi duri sono gennaio e febbraio ma per ora la temperatura è mite e di giorno c'è sole. Tiepido. Non piove e anzi la preoccupazione di un'estate siccitosa è forte. Inoltre, avverte un rapporto della Fao, l'agricoltura afgana ristagna e la produzione non aumenterà in un paese destinato, dicono gli agronomi dell'Onu, a continuare a dipendere dall'aiuto esterno. In effetti val la pena di fare un paio di considerazioni. Avrete notato che dell'aumento poderoso del prezzo del grano e del frumento della primavera scorsa non si parla più? E si perché, mi spiegava un contadino padano, poiché i prezzi erano elevati, tutti han seminato in campagna. Col risultato che, a settembre, i prezzi son crollati. Sarà forse successo anche qui come altrove (la Fao dice che nelle prime due settimane di dicembre grano e cereali secondari son calati del 40 e del 20%). Ma il prezzo del pane e della pasta? Quello è rimasto invariato oppure è sceso di qualche centesimo al pacco da mezzo chilo. Come la benzina. Il petrolio crolla ai minimi ma la benzina cala solo di un pelino...Guai per il nostro portafoglio. Figurarsi per quello di un afgano.
Il prezzo dei generi di prima necessità sale e poi scende (è un settore dove vale davvero la legge della domanda e dell'offerta) ma il prezzo del pane rimane alto e quasi un terzo della popolazione soffre fame cronica. Quando le cose van bene in campagna, guadagnano i mediatori in città. Quando vanno male, il commercio se la cava lo stesso e i contadini (come i cittadini) pagano la crisi. A Kabul, o peggio nelle campagne, la grande crisi dei cereali ha questo effetto perverso. La pagano i poveracci anche se, direte voi, non è una novità. Però è bene ribadirlo perché a volte si può credere che l'aumento dei prezzi delle derrate agricole favorisca i contadini. Sin parte si ma solo per un brevissimo periodo.

* * *

Ma è dura per gli afgani ovviamente, non certo per me che ho nel portafoglio dollari ed euro. E c'è come spenderli. La città pullula di mini market con prodotti della Kellog's, chili sauce per tacos alla messicana e soja per i funzionari cinesi. Tabasco se volete condirvi il succo di pomodoro. Campbell soup se avete fretta. Ragù Star se il lavoro non vi lascia il tempo per cucinare lo spago.

* * *

Cade la neve su Kabul ma dura poco. Qui si vive una vita effimera come la neve di quest'anno. Due sere fa la guerriglia ha tirato tre razzi su un posto di polizia vicino all'Intercontinental, alla periferia Nord della città. Ma quelle armi artigianali e imprecise, spesso azionate con un timer, han beccato una casa di poveracci e hanno ammazzato tre bambini. Le loro vite sciolte come la neve sopra Kabul.

Nessun commento: