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martedì 6 gennaio 2009

SABBIA, CEMENTO E CONTRACTOR



Nell'immagine di Romano Martinis, una tipica edilizia popolare di epoca sovietica. Case così se ne trovano in tutto il paese

Come ho raccontato nei giorni scorsi, le celebrazioni dell'Ashura, che ricordano il martirio nel 680 di Hussein figlio e successore di Ali, cugino e genero del Profeta, sono già iniziate da giorni. Ma è domani la giornata clou. Avevo scritto che interessano nel paese solo il 10% degli afgani ma un articolo del Post aggiorna il dato al 25%, che mi pare alto ma che al momento non posso contestare, salvo che, guardando qui e la, la maggior parte delle fonti attesta un 20% e poche altre sia un 15%, sia un 25%. Diciamo che 20% pare attendibile. Ma non era questo il punto.
Il punto è che gran parte di loro converge su Kabul. E' la piazza Pashtunistan quella deputata alla celebrazione principale che, se non ho capito male, dovrebbe poi vedere il corteo dei flagellanti percorrere il lungo fiume, poco distante. Fatto sta che da un paio di giorni il traffico è diventato disumano.
Kabul ha un piano urbanistico piuttosto raffazzonato ma aveva una sua unitarietà urbana che, con gli anni della guerra, si è fortemente modificata facendo perdere alla città quell'identità che pure non era fortissima già negli anni Settanta, cioè prima dell'invasione sovietica. Allora Kabul contava mezzo milione di abitanti: era una città già di impianto moderno, con lunghi viali alberati e vaste aree verdi che si mescolavano al vecchio impianto urbano, una sorta di villaggione cresciuto attorno alla nuova capitale quando fu prescelta in tempi remoti al posto di Kandahar.
Ma oggi, nel corso di trent'anni di guerra, si ritrova arricchita da una valanga umana di profughi che assediano la montagna che cinge l'intera città, arrampicandosi per erti pendii con piccoli manufatti a uno e due piani, ricalcati sull'architettura tradizionale di villaggio. Nel centro stanno invece sorgendo edifici nuovissimi di vetro cemento, pacchianissime abitazioni di nuovi ricchi (che sono in numero considerevole) e un affastellamento di piani e contropiani che innalzano le case pre esistenti e sfalsano qualsiasi prospettiva architettonica. Ma c'è di più.
Con l'arrivo della Nato e la guerra al terrore, Kabul si è arricchita di un nuovo genere di arredo urbano: blocchi di calcestruzzo armato alti due metri, giganteschi contenitori di sabbia, muri e muraglie, cavalli di frisia, blocchi di cemento che vengono piazzati nelle strade per sviare il traffico o rallentarlo nei pressi di ambasciate o luoghi “sensibili”. La località dove ha sede l'ambasciata americana, e – per nostra sfortuna – l'ambasciata italiana, è un vero delirio cementizio dove la quantità di metri cubi di calcestruzzo fa il paio solo con mitragliette, occhiali neri e cellulari. Sabbia, cemento e contractor. La nuova miscela edilizia di Kabul.
La morale di tutto ciò è che, tra l'Ashura, il cemento e quel che resta della vecchia città, dalle strade strette e fangose (vecchia città per modo di dire, perché Sharenaw, la città nuova, è roba degli anni Settanta), andare in macchina è una passeggiata estenuante. Eppoi, come se non bastasse, oggi è arrivato anche il presidente pachistano Asif Ali Zardari a creare maggior confusione.
Si è aggiunto anche il traffico in cielo, con gli elicotteri. Lì per fortuna, il cemento e il filo spinato non sanno ancora come metterlo.

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