La notizia che il presidente Benigno Aquino ha dichiarato nelle Filippine lo stato di calamità nazionale arriva col peso di oltre 10mila vittime e una devastazione senza precedenti anche alla conferenza annuale del Framework Convention on Climate Change dell'Onu che si tiene da ieri a Varsavia e dove Naderev “Yeb” Saño della Climate Change Commission delle Filippine commenta in un'intervsita alla Reuters Foundation: «Tifoni come Haiyan-Yolanda e le sue conseguenze rappresentano un lucido richiamo alla comunità internazionale sul fatto che non possiamo permetterci di procrastinare l'azione sul clima». La conferenza si è appena aperta e i colloqui dureranno dieci giorni ma le illusioni che qualcosa cambi veramente sono poche. Poche come le speranze che disastri del genere non si ripetano più e non solo per gli effetti dei cambiamenti climatici. Il dramma filippino, con un bilancio ancora incerto e salito da cento a mille e poi a diecimila vittime, racconta infatti che la prevenzione, unica vera arma contro le emergenze naturali, è ancora troppo indietro soprattutto in quel Paese di isole frammentate e dove la povertà non fa sconti, le case sono spesso fragili tuguri, la protezione civile e i sistemi di allerta un miraggio.
Leyte e Samar sono le isole più colpite. Sulla prima, la città di Tacloban ha subito danni enormi ed è in questa area che il supertifone Hayan si è abbattuto con maggior violenza. Ma, avvertono i soccorritori, su molti altri luoghi remoti del vasto arcipelago ci potrebbero essere nuove sorprese. L'altra isola colpita con forza è Samar, e ancora è difficile tracciare un bilancio di quanto avvenuto a Guiuan nell'estremo Est, il centro più colpito. Anche la zone settentrionale di Cebu, poco più a Sud, avrebbe registrato danni rilevanti. Stesso discorso per Baco, più a Nord a soli 170 chilometri da Manila, dove la città sarebbe sommersa dall'acqua. Il numero di 10mila morti è dunque per ora una convenzione e una proiezione sugli scomparsi (oltre 600mila)...Leggi tutto su Lettera22
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