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giovedì 12 novembre 2015

Myanmar, il tempo del negoziato

Mentre anche il presidente in carica Thein Sein ammette apertamente la sconfitta congratulandosi ufficialmente con Aung San Suu Kyi, il futuro premier birmano prende carta e penna e gli scrive una lettera che manda anche al capo delle Forze armate Min Aung Hlaing e allo speaker uscente del parlamento Shwe Mann (un ex generale dello stesso partito di Sein). Invita insomma a sedere a uno stesso tavolo i tre protagonisti politici del Myanmar – tutti militari - per discutere del futuro. La risposta ancora non c'è ma le congratulazioni di Thein Sein, il generale che potrebbe passare alla Storia come l'uomo che ha garantito la transizione, parlano chiaro sebbene il suo portavoce abbia chiarito che l'agenda si discuterà solo dopo i risultati: Sein, dicono alla Lega, avrebbe promesso un trasferimento pacifico del potere e, nel messaggio ricevuto dal ministro dell'Informazione Ye Htut a nome del presidente, Thein Sein si sarebbe congratulato con la Nobel e la Lega per il risultato. Un risultato, che a parte le contestazioni di regola su chi avesse più o meno diritto a presentarsi, per ora non ha registrato che plausi: dagli osservatori europei e dalla Fondazione Carter, capitanata da Jason, primogenito dell'ex presidente americano. Le congratulazioni dei vari leader e governi stanno arrivando puntali.

In effetti la vittoria è macroscopica. Con la conta dei voti ancora a metà delle schede, la Bbc valuta che la Lega di Suu Kyi abbia ottenuto il 90% dei voti. Irrawaddy, il giornale online dell'opposizione storica al regime militare (seppur da anni ormai in abiti civili) attribuiva ieri sera alla Lnd 179 seggi alla Camera bassa (dove ne aveva 38) con una rappresentanza del 47%. Secondi sono i militari che hanno 110 seggi per default su 440 garantiti dalla Costituzione (25%); solo 17 seggi per ora al Partito di Thein Sein (3,9%). Alla Camera Alta la Lega ha per ora 77 dei 224 seggi (ne aveva...5), 56 i militari e solo 4 Thein Sein (ne aveva ...122).


Non è la prima volta che Aung San Suu Kyi tenta un abboccamento ma prima, rilevano gli osservatori, la situazione parlamentare del suo Partito, boicottato in ogni modo alle passate tornate elettorali, era troppo fragile perché potessero anche solo darle ascolto. Adesso invece le posizioni di forza si sono ribaltate anche se la quota di militari nominati e i seggi comunque guadagnati dal Partito della solidarietà e Sviluppo di Sein conservano all'esercito un ruolo che resta importante. Se il voto resta costante i numeri potrebbero però dare alla Lega una maggioranza schiacciante che l'ex opposizione valuta attorno al 70%: tanto, tantissimo e sufficiente a nominare il premier ed esprimere la candidatura a presidente (carica che al momento Suu Kyi non può rivestire) ma non abbastanza per cambiare la Costituzione perché gli emendamenti alla Carta suprema richiedono oltre il 75% dei parlamentari. Solo un negoziato coi militari e i partiti minori dunque – ciò che la Nobel intende fare – potrebbe aprire la strada a una riforma della Carta per togliere il veto che grava sul candidato presidente se è sposato con uno straniero (suo marito era un professore britannico morto alcuni anni fa da cui ha avuto due figli ).

Negoziare dunque come per altro la Lega e la sua leader hanno sempre cercato di fare: non più tardi di qualche mese, in settembre, la Lega pubblicò sul suo sito internet un messaggio video di Aung San Suu Kyi in cui la Nobel faceva mostra di considerare con tutte le attenzioni Tatmadaw, le Forze armate birmane, un esercito che utilizza oltre due miliardi di dollari del budget nazionale e formato da 350mila soldati in gran parte volontari (teoricamente perché la coscrizione può esser resa obbligatoria).


Negoziare dunque e con prudenza: la Lega nazionale per la democrazia ha esortato i suoi sostenitori a evitare grandi celebrazioni almeno fino ai risultati definitivi che la Commissione elettorale rilascia col contagocce. Troppo entusiasmo, dicono alla Lnd, sarebbe rischioso. Non è un caso se in un'intervista alla Bbc martedì scorso – due giorni dopo il voto – Suu Kyi ha detto che il voto è stato libero (free) ma non equo (fair): ci sono state «intimidazioni». Il passato non è ancora passato.

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