Guterres al CdS: tutte le parole possibili per scardinare l'inazione |
La vicenda dei rohingya, per cui è già stato usato il termine “genocidio” e la locuzione “pulizia etnica”, infiamma però solo i Paesi musulmani e appena un pochino britannici e francesi. Persino gli americani, di solito molto “vocalist” - come si dice in gergo - quando si tratta di diritti umani, stanno un po’ in disparte. Nei discorsi preparatori nessuno è stato comunque avaro di frasi di rito ma al Consiglio di sicurezza, dove si prendono le decisioni che contano, tutti sanno che, soprattutto Pechino – spalleggiata da Mosca – non vuole soluzioni dure contro il Myanmar, alleato di ferro delle sue politiche energetiche. Ha già utilizzato in passato il diritto di veto anche se, si dice, la Cina si sarebbe ammorbidita in questa vicenda dove ormai ogni linea rossa è stata varcata. La gente che fugge, lasciandosi dietro case incendiate, stupri e violenze, arriva in Bangladesh stremata e assai spesso, è accaduto anche ieri, non ce la fa: fragili imbarcazioni che si capottano, gente che affoga nel fiume-mare che divide i due paesi: almeno una sessantina ieri dopo il ribaltamento di una barca.
Guterres, che potrebbe decidere un viaggio in Myanmar su invito del governo, vuole intanto almeno una Conferenza dei donatori e un po’ di quattrini per le sue agenzie. Ma c’è un problema di accesso – nello Stato del Rakhine da cui i rohingya fuggono – che renderebbero il denaro assai poco utile. Il problema è politico non umanitario. O meglio, la catastrofe umanitaria e l’incubo sui diritti, gli stupri e le violenze non sono che gli effetti di una politica disattenta su una vicenda annosa, marcata dall’imbarazzo di avere a che fare questa volta con dei musulmani che non sono dalla parte del torto. I rohingya però sono solo una piccola popolazione senza protezione né protettori, non vivono in deserti petroliferi e le loro terre ormai stanno passando nelle mani di altri padroni: erano un milione e ora son solo la metà. Questione di tempo e il caso, con qualche spicciolo per i campi profughi, si risolverà da solo.
Guterres lo sa e infatti ha paventato il rischio che questa situazione, oltre che catastrofica sul piano umanitario, diventi nuova benzina da gettare sul fuoco – in Bangladesh o in Myanmar – per chi ha interesse ad allevare gruppi armati e terroristici. Intanto Facebook dà una mano: i post dell’Arakan Rohingya Salvation Army (Arsa), il gruppo secessionista rohingya accusato dai birmani di terrorismo, è stato oscurato. Un regalo a chi sta pensando a scelte radicali e ai Paesi che possono essere interessati a creare caos nella regione finanziando chi non ha più nulla da perdere.
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