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martedì 18 agosto 2020

Bangkok: quella piazza che non si ferma

Continuano le manifestazioni di piazza in Thailandia mentre la crisi da Covid continua a mordere. Viene da chiedersi quelle delle due emergenze preoccupi di più l'esecutivo siamese. L'economia tailandese si è ridotta del 12,2% nel secondo trimestre di quest’anno, la contrazione più grave dalla crisi finanziaria asiatica del 1998 quando il Pil era sceso del 12,5%. Ai dati diffusi ieri dal Consiglio economico nazionale ha fatto eco la Federazione degli industriali avvertendo che dei 45 gruppi nazionali, 32 subiranno un calo della domanda mentre anche il settore turistico (40 milioni di presenze nel 2019) è al lumicino. Ma forse la vera preoccupazione del generale-premier Prayut Chan-o-cha non è né l’economia né il Covid-19, ma una marea in crescita che si chiama movimento Free Youth.

Il movimento, composto soprattutto da giovani studenti, ha dato la sua ennesima prova di forza domenica a Bangkok dove, secondo la polizia, 10mila persone si sono unite all’ennesima manifestazione non a caso davanti al monumento alla democrazia. Secondo la Bbc sarebbe la più numerosa in in Thailandia da sei anni. La piazza insomma non molla, nonostante la repressione e forse anzi proprio per quella: il 14 agosto è stato arrestato Parit “Penguin” Chiwarak, ventiduenne studente universitario e attivista molto noto. “Con le accuse relative al suo coinvolgimento nel raduno della “Free Youth” del 18 luglio a Bangkok – ricorda una nota di Human Rights Watch - è accusato di sedizione (pena detentiva massima sette anni), assemblea con l'intenzione di causare violenza, violazione del divieto di riunioni pubbliche e altri reati”. Il 7 agosto, la polizia aveva arrestato altri due membri del movimento, Arnon Nampha e Panupong Jadnok, con le stesse accuse. Hrw mette in guardia su nuovi imminenti arresti.

Il movimento ha preso fiato nel febbraio scorso, dopo che il Future Forward Party – progressista e capeggiato da un giovane imprenditore molto popolare - era stato sciolto dalla magistratura. Poi è arrivato il Covid e le restrizioni sugli assembramenti di massa mentre a giugno si veniva a sapere della scomparsa di Wanchalearm Satsaksit, attivista in esilio in Cambogia dal 2014, un altro tassello che ha riattizzato le braci. Il 18 luglio le proteste sono ricominciate, nonostante il divieto di raduno e lo stato di emergenza decretato contro il virus, culminando il 10 agosto nella lettura in piazza di un manifesto in dieci punti in cui, oltre a chiedere le dimissioni di Prayut e una nuova Costituzione, il movimento ha in sostanza detto che il re era nudo. Il manifesto, letto da una attivista al campus Rangsit dell'università Thammasat, ha sollevato un coro di critiche persino tra i progressisti o i partiti d'opposizione come il Pheu Thai (espressione del vecchio leader in esilio Shinawatra) che, pur sostenendo il movimento e chiedendo una nuova Costituzione, lo scioglimento del parlamento e la fine della repressione, ha preso le distanze dalle richieste che hanno rotto un tabù in un Paese dove tutto si può criticare tranne le loro maestà.

Far tacere i giovani non è facile e per ora l’arma sembrano le manette: il vicepremier Prawit Wongsuwon ha detto ieri – riconoscendo persino che la Costituzione richiede una riforma - che chiunque può manifestare ed esprimere opinioni, purché non violi i diritti di altre persone. Come han fatto gli attivisti arrestati.

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