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giovedì 28 gennaio 2021

Avere 15 anni nel '68

Il Gilera che sognavamo.
In effetti gran bel motore 
 A 68 anni suonati dalla mia nascita, posso ben dire “Ho fatto i 68” anzi, per dirla tutta, “Ho fatto il
‘68”. E ne vado fiero. 

Quell’anno cambio’ il corso della mia esistenza. Devo cosi tanto a quella festa libertaria che oggi, senza il ‘68, quando di anni ne avevo 15, la mia vita sarebbe tutt’altro. Prima che scoppiasse la festa ero un ragazzino timido e tordo, un po’ infantile e superficiale. La mia massima ambizione era di portare mocassini inglesi Saxone e di avere un impermeabile doppiopetto di tela blu che allora andava per la maggiore. Andavo a messa alle 12 alla Chiesa di San Carlo a Milano, dove si riuniva la buona borghesia lombarda, a due passi dal quel ritrovo di Piazza San Babila che si trasformo’ a breve in un luogo di raccolta di fascistelli a pochi passi dalla sede della Giovane Italia, il braccio giovanile del Movimento sociale italiano. Mettevo pantaloni di vigogna grigi e camicie col colletto a pozzo a due bottoni (come quelle di Conte, per intendersi) e cravatte di lana con colori sgargianti ma non troppo. L’universo femminile mi era tanto estraneo quanto desiderato e il massimo della vita era per noi poter partecipare a delle stupide liturgie sorvegliate che, sotto la tutela di occhiute matrigne, si svolgevano al sabato in qualche salotto buono (le cosiddette “lezioni di ballo”), dove si poteva almeno ballare, avvicinandosi a quel mondo fatato e incomprensibile di “bagianne”, come chiamavamo le ragazze alla scuola media. Io molto spesso facevo, come si diceva, “tappezzeria”, tanto timido che ero. 

La mia stupidita’ correva dietro a quei pensieri con la giacca blu di panno, le scarpe con la fibbia (in alternativa al mocassino) e la speranza che la famiglia ci regalasse uno Stornello Guzzi o il 125 Regolarità Casa della Gilera. Mia madre, che era una donna saggia, non mi compro’ mai il soprabito blu di marca e me ne cuci uno a un solo petto, che lo rendeva una copia ridicola del vero trench blueberry. Ne soffrivo, come si puo’ soffrire di una fesseria ignari come si era di cosa significasse soffrire veramente e per cosa valesse la pena soffrire. Ero tutto questo: una ragazzino senza grandi pensieri, perso dietro alle prime Muratti e Astor fumate di nascosto. Poi il 68 sconvolse quel quieto e tutto sommato inconcludente peregrinare tra sogni di negozi di scarpe e “vasche” nelle vie della moda.

I famosi jeans bell bottom

M
i scombussolo’ a tal punto da svelare il’illusione che un soprabito faccia di te un uomo. Che una cravatta sia il metro di giudizio.Fu una vera liberazione anche da quelle chimere. Anche da sessantottini avevamo i nostri miti nel vestiario, come no (levi’s scampanati in fondo, polacchine, eskimo e via discorrendo), ma con la coscienza che non era attraverso quello che avremmo attraversato i marciapiedi, sentieri, spiagge, boschi e viali alberati che ci avrebbero accompagnato lungo la via. Si apriva un mondo diverso e, quello si, davvero affascinante: nelle piazze in centomila, in viaggio per l’Europa in saccapelo, in qualche stanzetta accaldata a fumare hashish sognando di andare in India, a scuola nei corridoi convinti che stavamo cambiando il mondo. Come, in parte, e’ stato. 

Che fortuna amici miei aver avuto 15 anni nel '68. L’anno che cambio' l'Italia e che fece di un giovane “pistola”, di un”pantula” mingherlino e petulante, un ometto che si misura col mondo. Oggi che 68 sono i miei anni, lo ricordo volentieri. E grazie e chi mi ha fatto gli auguri e anche a chi se n’e’ dimenticato e persino a  chi non aveva nessuna intenzione di farmeli.

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