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mercoledì 15 dicembre 2021

L'Afghanistan e l'agenda del governo italiano

Dove si trova l’Afghanistan nell’agenda politica del governo italiano? Qual è la strategia della
cooperazione italiana e come verranno scelte le persone che potranno accedere ai corridoi umanitari? Cosa fanno le università italiane e, soprattutto, cosa pensa del suo futuro la società civile afgana? Per rispondere a queste domande “Afgana” e l’associazione trentina “46mo Parallelo” hanno costruito un incontro a Trento il 14 dicembre tra la Viceministra agli Esteri e alla Cooperazione Marina Sereni e i principali protagonisti della società civile italiana, impegnati dal 15 di agosto su un dossier esploso con il ritorno dei Talebani e il rapido abbandono di un conflitto durato vent’anni e costato almeno 250mila vittime, in maggioranza civili. 

Incontro “costruito” perché alimentato da una serie di webinar preliminari online in cui le due associazioni organizzatrici hanno sentito i responsabili delle realtà impegnate sul fronte umanitario (Ong, organizzazioni religiose, attivisti afgani, accademici) per porre una serie di domande alla Viceministra. Domande in realtà già note al nostro ministero ma ancora non oggetto di un dibattito pubblico. L’iniziativa di Trento ha dunque in animo, non solo di non far spegnere i riflettori sulla crisi afgana ma anche di informare i cittadini su quella che è ancora una nebulosa: la nostra strategia-Paese verso l’Afghanistan.

Per parte loro Afgana e 46mo Parallelo intendono sottolineare alcuni aspetti che, oltre all’azione umanitaria, riguardano la politica in senso lato: i conti col passato, i diritti nel futuro afgano, il ruolo e il sostegno alla società civile afgana attraverso la società civile italiana. 

I conti col passato ancora non si sono fatti e non c’è stato un dibattito parlamentare pubblico su una guerra persa: perché l’abbiamo fatta? Chi ancora crede andasse fatta, dove ha sbagliato?  Aveva e ha forse ragione, anche per il futuro, l’art 11 della Costituzione che ripudia le guerre di aggressione? Come giustifichiamo un contributo alla missione Nato di circa 9 mld di euro di cui solo tra il 5 e il 7 % investiti in sviluppo e il resto in spesa militare in un Paese in cui abbiamo lasciato 7 afgani su 10 sotto la soglia di povertà? Che lezione ne traiamo in vista di altre missioni militari italiane all’estero?

I diritti: è giusto difenderli e sostenerli. Ma come farlo senza un’ambasciata né un ufficio di cooperazione? Come garantire gli italiani che operano in Afghanistan senza nemmeno un ufficio di tutela degli interessi nazionali? Come verificare dove e come saranno spesi i milioni che abbiamo scelto di destinare all’aiuto umanitario attraverso le grandi agenzie internazionali? Si muove l’ipotesi di un’ “ambasciata Ue” e il nostro ambasciatore a Doha Sandalli ha incontrato in Qatar, con altri omologhi europei, i Talebani. Non ci appare sufficiente anche perché non è chiaro l’atteggiamento italiano verso l’emirato: totale chiusura o possibile negoziato? 

Il ruolo della società civile italiana è stato fondamentale nelle evacuazioni passate e dovrà esserlo in quelle future. Inoltre  è ancora  forte  una presenza di diverse organizzazioni non governative italiane in Afghanistan. Chi c’era rimane e altri sono disposti a partire. Ma sono presenze che andranno tutelate e sostenute finanziariamente perché possano davvero difendere i diritti degli afgani. Anche in una trattativa inevitabile col regime talebano che per molti è già in corso laddove la realtà del terreno vince sui dubbi – pur legittimi – sui possibili impegni che l’emirato potrebbe prendersi. Del resto, come sostenere la società civile afgana senza rafforzare la nostra che è attiva da anni in quel Paese? 

Il titolo del primo incontro pubblico in presenza sul dossier afgano, che si deve anche al sostegno della Provincia autonoma e del Forum trentino per la pace, è significativamente: “Afghanistan, il futuro negato”. C’è da augurarsi che da Trento di snebbi la nebulosa o, quantomeno, parta un percorso virtuoso e trasparente sulla strategia italiana nel Paese dell’Hindukush. A cominciare dalle regole che consentiranno l’ingresso in Italia ad altri 1200 afgani – un numero che speriamo venga accresciuto – per avere le tutele che ci chiedono prima che il loro futuro sia negato una volta per tutte.

Questo articolo è uscito ieri su ilmanifesto

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