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mercoledì 12 novembre 2008

LA "SVOLTA" DI OBAMA


Indiscrezioni: sul Post i primi segnali di un cambio di strategia: parlare con l'Iran, negoziare coi taleb. Il neo presidente apre al nemico. Su come gestire la guerra in Afghanistan però...

Foto di R. Martinis

Nella ridda di opzioni sulla politica estera di Obama messe in capo da settimane dalla stampa internazionale, interviene a gamba tesa il Washington Post. Uno dei quotidiani meglio informati degli Stati Uniti e da sempre su posizioni progressiste, ribalta, almeno in parte, il quadro. E anticipa la “svolta”. L'Iran innanzi tutto, con cui si può parlare. Poi L'Afghanistan che, oltre all'opzione militare, richiede un approccio più politico, incluso il negoziato coi talebani, una delle questioni più spinose delle ultime settimane, da quando alla Mecca, sotto gli auspici sauditi, uomini di Karzai ed emissari di mullah Omar si sono incontrati.
Il Post cita fonti anonime ma vicine allo staff del neo presidente: che non si sbilanciano troppo per non creare problemi al neo eletto su argomenti “sensibili” e che concedono però il classico boccone dorato per la stampa: una nuova “caccia a Bin Laden” che Bush avrebbe alla fine relegato in seconda posizione. Boccone tanto ghiotto che gran parte di giornali e siti Internet hanno puntato i loro titoli sullo sceicco del terrore. Ma la vera novità è un'altra: i consiglieri di Obama ritengono che l'amministrazione Bush abbia giocato la carta afgana molto ideologicamente. Mirando a creare uno stato a immagine e somiglianza dei propri sogni anziché garantendo stabilità alla neonata democrazia tribale. Inoltre Obama vuole guardare a una mappa locale con più ampie dimensioni in un approccio regionale. Dialogo quindi con l'Iran, forte pressione sul Pakistan e, nella terra dei pashtun, negoziato anche con gli uomini col turbante. E l'”effetto Obama” avrebbe già colpito anche alla Nato se il generale David Mc Kiernan, che comanda l'Isaf in Afghanistan, ha parlato di “riconciliazione” come di un'idea “appropriata”. Su un solo elemento Obama non pare distaccarsi dalla strategia già confezionata dai consiglieri di Bush e allo studio del generale David Petraeus, il pigmalione del “surge” iracheno: la trasposizione del piano che ha fatto intravedere un po' di luce in Iraq in territorio afgano.
La nuova strategia, anticipata dalla Cnn qualche giorno fa in questo calcolato rilascio di mezze dichiarazioni programmatiche, parla chiaro: costruire una rete di milizie tribali - guidate dal ministero degli Interni afgano ma di fatto pilotate (e pagate) da Washington - nel tentativo di costruire un network locale che difenda il territorio e dia una mano al costituendo esercito afgano. La teoria, già in fase avanzata in Pakistan nelle aree tribali, gioca non a caso sul piano regionale: coinvolgendo le zone pashtun al di qua e al di là della frontiera afgana. Ma senza dimenticare Teheran. Che - la nuova Amministrazione ne è convinta - non ha nessuna intenzione di avere un vicino ultrasunnita al confine orientale.
Su un altro punto Obama resta, in parte, d'accordo con Bush: l'aumento delle truppe. Subito una brigata da 3.500 uomini (che già hanno ricevuto l'ordine) e poi altre due, sino a un aumento che si vorrebbe a 10mila, forse 20mila uomini nel 2009. Ma per Obama, il trasferimento di soldati dal teatro iracheno a quello afgano va letto in modo diverso: levare soldati all'Irak significa infatti procedere al ritiro che Obama ha promesso ai suoi elettori entro 16 mesi dalla sua elezione. Un punto su cui avrà un bel da fare nel convincere lo staff della Difesa e dell'esercito, poco propensi a lasciare il teatro mediorientale troppo in fretta...Le questioni da dirimere restano comunque diverse: il ruolo e l'appoggio a Karzai, che resta ondivago. O la proposta che alcuni europei e persino alcuni funzionari Nato hanno avanzato: che si torni al sistema delle assemblee tribali (jirga) per scegliere il prossimo leader del paese. Idea che il Dipartimento di stato, almeno l'attuale, ha rispedito al mittente.
La campagna afgana di Barak Obama avrà comunque bisogno di aiuto esterno. Che verrà chiesto agli europei che formano il contingente Isaf-Nato: britannici innanzi tutto, ma anche tedeschi, italiani e spagnoli. Il governo di Londra considera però improbabile l'invio di cospicui rinforzi dopo il ritiro delle proprie truppe dall'Iraq, anche se si dice disponibile a un impegno “condiviso” nel quale “ogni alleato” faccia la sua parte. Così almeno ha detto il primo ministro Gordon Brown, spiegando che la posizione di Londra non cambierà nonostante le richieste agli alleati che Obama metterà in campo. Secondo il Times però si presterà, com'è tradizione, ad aprirgli la strada con gli amici europei anche perché la questione potrebbe essere sollevata al vertice del mese prossimo a Bruxelles, prima che il neo presidente si insedi alla Casa Bianca.

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