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domenica 28 dicembre 2008

VISTO DA KABUL


Diario dalla città dolente. Il primo di una serie di articoli e riflessioni da e sull'Afghanistan. La foto è di Romano Martinis

Kabul - Viste da Kabul, le decine di migliaia di persone che si sono riunite ieri di fronte al mausoleo della famiglia Bhutto per celebrare il primo anniversario della morte dell'ex primo ministro Benazir, raccontano anche un'altra storia. Non solo quella di una forte empatia popolare con un personaggio diventato in Pakistan l'icona della speranza, ma anche tutte le vicende che legano questo paese in guerra da trent'anni col suo potente vicino. Un vicino che adesso è ai ferri corti con l'India lungo un confine su cui spirano venti di conflitto. E con cui resta un rapporto difficile visto che fu proprio sotto il governo della signora Bhutto che iniziò la parabola infinita dei talebani. Parabola dai mille risvolti e che si intreccia con la decisione di Islamabad di spostare un quinto degli uomini impegnati lungo le aree al confine con l'Afghanistan sulla linea del cessate il fuoco con l'India, in Kashmir, mentre vengono rafforzati i dispositivi di allerta nella provincia del Punjab, la terra dei cinque fiumi che il righello coloniale divise nel '47 creando India e Pakistan.
L'anniversario della morte di Benazir arriva dunque in un momento particolarissimo: migliaia di poliziotti sono stati impegnati per assicurare la sicurezza dell'evento in un momento di grave difficoltà per il nuovo governo retto da Yusuf Raza Gilani, il premier voluto dal Ppp, il partito dei Bhutto, e ispirato dal neo presidente Asif Ali Zardari, che di Benazir era il marito. Lei venne uccisa un anno fa a Rawalpindi durante un comizio e le indagini infilarono subito la pista dei talebano-pachistani anche se, per il momento, di probabili colpevoli in prigione, salvo qualche sospetto, non ce ne sono. Paradossalmente anzi, viene in soccorso del governo proprio la voce del radicalismo islamico.
Pur se si tratta di un ritiro “limitato” che riguarda spostamenti di truppa dislocati nelle aree tribali del Pakistan ma non direttamente impegnate in operativi contro la guerriglia talebana, Islamabad ha confermato il trasferimento di 20mila uomini incassando l'entusiasmo dei militanti radicali molti dei quali orfani proprio del conflitto kashmiro ed espulsi in passato da quell'area: Maulvi Omar, un portavoce di Tehrek-e-Taliban (i talebani pachistani appunto) ha dichiarato che la sua milizia si darà da fare. “È nostra responsabilità proteggere il confine occidentale e fermeremo le infiltrazioni in Afghanistan”, ha detto dimostrando che la vera pressione, più che su Nuova Delhi, arriva diretta su Washington molto interessata al fronte Ovest del Pakistan. Islamabad , dopo i violenti scambi di accuse con l'India in seguito ai fatti di Mumbai, aveva già minacciato di trasferire i suoi soldati verso Est. E adesso i militanti islamici che combattono nelle aree tribali si ergono a difensori della sovranità nazionale sul confine occidentale...
Ma le mosse di Islamabad sono ben ponderate. Le parole grosse vengono soprattutto da Delhi e in particolare dal ministro degli Esteri indiano, Pranab Mukherje, che svolge il ruolo del falco. Anche ieri nel fare appello a Islamabad perché favorisca il raffreddarsi della tensione, ha parlato di un'“isteria da guerra” che avrebbe il compito di sviare l'attenzione dalla vicenda di Mumbai. “E' triste – ha detto - che in Pakistan si sia creata un'atmosfera di isteria da guerra: io rivolgo un appello ai leader pakistani affinché non cerchino di creare ulteriore tensione non necessaria e di sviare il problema che deve essere invece affrontato faccia a faccia. Ignorarlo non aiuta a risolverlo”.
I pachistani sono più morbidi. Ieri Zardari ha affermato che è il dialogo l'unico mezzo per risolvere i problemi della regione anche se ha richiamato gli indiani alla non ingerenza: il problema insomma il Pakistan lo vuole risolvere da solo “perché è necessario e non perché siete voi (gli indiani) a volerlo”. Morbido anche il premier Gilani che ha ribadito che il suo paese non vuole la guerra e che reagirà solo in caso di provocazione.
Ma la tensione resta alta e ieri è intervenuta anche Mosca “estremamente preoccupata” dell'escalation. “La Federazione russa sta esortando India e Pakistan a mostrare la massima moderazione e a non consentire che la situazione al confine precipiti in uno scenario che coinvolga l'uso della forza”, ha dichiarato il ministero degli esteri russo nel suo sito ufficiale. Ma è chiaro che Islamabad si aspetta molto soprattutto dagli Stati Uniti specie ora che il rapporto tra Washington e Delhi non è mai stato così solido. Come gli indiani sanno bene.

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