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mercoledì 7 gennaio 2009

MARTIRIO A KABUL




Arriviamo sulla centrale piazza Pashtunistan verso mezzogiorno. Le strade sono bloccate per non far passare le auto. La gente viene perquisita da un efficiente servizio d'ordine sciita in abito rigorosamente nero. L'atmosfera è sospesa tra migliaia di persone che affollano il lungo fiume del torrente Kabul, un ammasso di immondizia a cielo aperto che, nei giorni di lavoro, ospita il mercato della verdura. Tra due ali di folla, in maggioranza curiosi sunniti, si fanno strada piccoli manipoli di sciiti, in maggioranza Hazara, la piccola comunità che segue lo scisma di Ali. Hanno bandane in testa e magliette verdi o abiti neri. Le sfilano a comando e tirano fuori una piccola catenella di venti-trenta centimetri alla cui estremità sono appese quattro o cinque lame di coltello. Cominciano a flagellarsi fino a che dalla spalle, sulle quali molti hanno spalmato della cenere, non fuoriesce il sangue. Sono giovani, alcuni giovanissimi. Bambini e adolescenti hanno magliette sforbiciate sulla schiena che esibiscono al gelo dell'inverno come per preparasi, tra qualche anno, al loro piccolo martirio. Si battono con le palme delle mani.
E' la fine della celebrazione iniziata dieci giorni fa e si va a casa a mangiare un riso dolce che si fa solo in queste giornate. Ce ne andiamo anche noi, mentre i cineoperatori chiudono i cavalletti e le famiglie abbandonano l'arena. C'è un senso di angustia, di dolore sottile che ricopre le strade che si rifanno deserte. E non si capisce se è l'effetto di questa macabra rappresentazione religiosa o il senso perenne, in questa città, di esser sospesi dentro una bolla che sta per scoppiare. Anche ieri, come l'altro ieri e il giorno prima ancora, i bollettini di guerra cantavano la loro preghiera di morte. Trentadue talebani uccisi dagli americani a Laghman, ma nessuna vittima civile nel raid della Nato che, secondo i locali, ha invece ucciso undici persone nell'Helmand. Una guerra anche delle parole che è come una staffilata quotidiana sulla schiena.

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