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venerdì 2 gennaio 2009

TUTTE LE DOMANDE SUL "SURGE"



A sinistra, pranzo di mezzogiorno in una chaikanà, "trattorie" afgane in via d'estinzione. Il ritratto è di R. Martinis. La scena, al bivio che porta alla valle del Panjshir

Il tema di discussione che a Kabul va per la maggiore - in questo periodo - si chiama “surge”, la ricetta che il generale David Petraeus, a capo del comando più importante dell’esercito statunitense, ha deciso di importare - con qualche variante – dall’Iraq, dove l'ha appena sperimentata. Tradotto in afgano, il surge iracheno, si basa sulla conquista pezzo per pezzo di una rete di milizie locali vicine al governo o che potrebbero, ben oliate, diventarlo. Ma quando il Wall Street Journal del 23 dicembre scorso ha raccontato che in gennaio il surge sarebbe stato ai nastri di partenza, gli americani sono stati sommersi di domande. Una in particolare: darete o no armi alle milizie, come ventilano le indiscrezioni?
E' questo il punto più controverso dell'intera operazione. Così che il 30 dicembre, l'ambasciatore americano Wood è corso ai ripari. E dopo aver convocato in tutta fretta una conferenza stampa ha smentito che gli Usa abbiano intenzione di iniettare altre armi nel paese forse più armato del pianeta. I funzionari della Cia e del dipartimento di stato, in attesa che Obama dica la sua, si sono dal canto loro affrettai a spiegare, con una serie di confidenze non ufficiali alla stampa, che di armi non si parla: regali semmai (e tutti hanno letto del Viagra, pillola magica per capiclan in pensione e che ha fatto alzare la voce alle femministe americane).
Il surge insomma non nasce affatto bene. Non piace ai britannici, che rivendicano la primogenitura di una accordo con i capi tribù, e neppure ai canadesi e soprattutto non piace agli europei anche se, come al solito, lo dicono per ora solo a mezza bocca. Il bello è che il surge trova molte resistenze anche tra gli afgani, primo fra tutti il presidente Karzai, in corsa per un secondo mandato nelle elezioni del 2009 di cui pero’ la data resta una variabile non ancora determinata. Il surge dovrebbe governarlo lui, anzi il suo ministro dell'Interno. Ma tutti sanno che qui a decidere sono gli americani. Lo sanno al palazzo presidenziale e anche al ministero. E lo sopprotano sempre meno.

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