Visualizzazioni ultimo mese

Cerca nel blog

Translate

domenica 8 febbraio 2009

KABUL SOTTO I FERRI


E dunque l'operazione all'Esteqlal, come promesso.
Primigeniamente ero andato all'ospedale di Emergency per una visita di controllo. Mi ero scoperto un bozzo all'inguine e avevo pensato che, tra il mio inglese e quello di un medico afgano (senz'altro migliore del mio), il rischio era che non ci intendessimo bene e soprattutto che io non capissi la gravità o meno della cosa. Alberto, un chirurgo volontario, mi visita nel piccolo e lindo ambulatorio di quest'ospedale da guerra che ormai, e per fortuna, a Kabul opera soprattutto i numerosi disgraziati tirati sotto dalle automobili, le vere padrone di queste strade strette e polverose dove anche la presenza dei vigili sembra solo una sorta di arredo urbano, tale è il numero di infrazioni che vengono commesse.
Ora, Alberto, facendomi sentire colpevole di avergli rubato mezz'ora del suo prezioso tempo, mi spiega dopo la diagnosi che un'ernia inguinale è un'operazione semplice e anche rinviabile. Ma, con quell'aria sorniona propria dei chirurghi, la butta lì che si, certo, si può aspettare e che la cosa diventa grave solo se l'ernia si strozza. E allora si che son guai: operazione di emergenza e... zac, via un pezzo di intestino. Mentre mi racconta anodinamente i particolari dell'eventuale intervento, mi gira la testa e mi manca l'aria. Figlio dei floridi anni Cinquanta, in cui la chirurgia era anche un segno di benessere, ho passato la mia infanzia negli ospedali: tre volte le adenoidi, una le tonsille, appendicite, circoncisione e via via appena c'era un problema...zac, arrivava il chirurgo. Ricordo quell'odore tipico delle sale operatorie e gli incubi del protossido d'azoto, l'anestesia che si usava allora per cavare le escrescenze. Ricordo quel cerchio rotondo con la lampadina che usava l'otorino, la mascherina col “gas esilarante” (così era anche chiamato) e quelle pinze, forcipe nasale, che servivano a cavarti le sacrosante adenoidi che, adesso, te le metterebbero anche di plastica. Avevo giurato: mai più sotto i ferri. Omeopatia, medicina steineriana, tibetana, ayurvedica, erbe e agopuntura. Ma...ora sono a Kabul. Se l'ernia si strozza, se devo essere operato d'urgenza....?

Mi consiglio col mio amico Arif, il medico della Cooperazione italiana, forse la maggior risorsa del nostro paese a Kabul. Arif, afgano di nascita e italiano di adozione, è l'esatto equilibrio tra due mondi apparentemente inconciliabili: il loro e il nostro. Lui sta in mezzo. E' un pashtun fatto e finito ma è anche italianissimo nel modo di fare e pensare. E conosce – e perdona – i nostri vizi e le debolezze da signorine che abbiamo noi occidentali. Apprezza quel che c'è di buono in noialtri ed è spietato quando la nostra debolezza diventa arroganza e coglioneria, una merce che abbonda sul libero mercato di Kabul.
Gli chiedo consiglio e gli dico che, dovendo scegliere, non mi dispiacerebbe essere operato all'Esteqlal, forse il secondo nosocomio della città. Per tre buoni motivi: il primo è che c'è lui a sorvegliare come andranno le cose. Il secondo è che conosco il direttore e l'ospedale funziona bene, anche grazie al lavoro di Arif che ne ha curato, con due validissimi tecnici – l'intransigente ma adorabile ngegner Prestini e il fido geometra Billa – la ristrutturazione. Il terzo motivo è ideologico. Sono un libertario ma non un liberista. Confido nelle strutture pubbliche, detesto le cliniche private e non mi va di chiedere a Emergency, che è un ospedale italiano, un favore. Anche perché mi sembra corretto fidarmi degli afgani, la gente che mi ospita in questo paese. Sono anche convinto, e i fatti lo confermeranno, che avranno un occhio di riguardo proprio per questo. Melmastia (ospitalità) è una regola ferrea del pashtunwali, il codice di condotta tribale dei pashtun ma, come che sia, nei paesi musulmani l'ospitalità è un dovere e, in Afghanistan in generale, questo concetto vale doppio: se sei accettato come ospite, si fanno in quattro per te, persino se sei ricercato dalla polizia. Un concetto che aiuta a capire tante cose.

Ali Eshan, il direttore e il chirurgo che mi opererà, sembrato entusiasta. Lo decide sui due piedi, il venerdi mattina alle 9. “Sei a digiuno? Beh, allora non mangiare né bere. Vieni alle 14 che oggi è venerdi e son di turno io. Al pomeriggio non c'è granché da fare. Ti operiamo e la sera sei a casa”. Detto fatto. Mi accolgono nella piccola saletta dei medici. Sono gentili. Io mi cago sotto e mi dà un fastidio tremendo che questi fieri medici, che ne vedono di ogni, si accorgano che questo fighetta milanese se la sta facendo addosso. Ho freddo ma in realtà la stanza è riscaldata. E' la mia reazione nervosa. Fanno i prelievi, misurano la pressione, compilano la cartella, bucano l'orecchio per vedere il tempo di coagulazione, mi infilano la flebo. Mi chiedono dei miei due figlioli. Vengono continuamente a darmi un'occhiata e a visitarmi. Mi palpano e ripalpano, una manualità che mi ricorda il dottor Viviani, il nostro vecchio medico condotto – un sant'uomo di grande umanità – quando veniva a casa per la pertosse o il morbillo. Una cosa che non esiste più, bypassata da tac, tuc e tic, le macchine onnipotenti che hanno sostituito – più certe, più sicure, infallibili – ciò che faceva dei medici delle persone complete. Degli stregoni moderni, come dice Edgard Morin, in grado di “sentire” e vedere il male. Anche quello occulto: osservando le vostre occhiaia, il colore della lingua, l'umida diagnosi delle mucose, la risposta alle domande nel fondo dell'iride. Ricordo un medico tibetano che, dopo i polsi, completava la diagnosi assaggiando una punto della vostra urina. E comunque qui di macchina non ce n'è o se ce n'è, non certo per un'inezia così. Un colpo di tosse e sentono l'ernia. Diretta pare. Operazione semplice. Ecco il pigiama e via in sala operatoria. Che Dio me la mandi buona....e si, perché il fighetta si è accorto che, sul tavolo operatorio, la tela che ricopre il metallico giaciglio è piena di macchie scure, come i camici dei medici del resto. Certo, li tirano fuori da cilindri per la sterilizzazione, ma non sono le linde tuniche dei medici in prima linea di E. R. e nemmeno quelle degli ospedali italiani, usa e getta. Mi viene la paranoia

I dubbi ti vengono tutti adesso, caro amico mio, che sei sul tavolo e l'anestesista sta preparando l'iniezione. Ti mettono un telo davanti agli occhi e potrai solo vedere lo spicchio di stanza con le loro facce da assassini e macellai e l'orologio lì, sulla parete, che scandisce un tempo che non passa. C'è anche Arif, poveretto lui, che si è fottuto la domenica (cioè il venerdi) per farmi coraggio. Il dottor Ali Eshan è impassibile, perfetto, tranquillo. Sembra il capitano sulla tolda della nave. Nave afgana in un paese dove non c'è il mare. Iodio, bisturi e via. E' cominciata. Guardo l'orologio. Sono appena intontito, mica quelle pere di valium che ti fanno sognare. Sento i commenti, che non capisco, e che Arif mi tradurrà poi: “dicono che la vostra anatomia è diversa: più semplificata e dunque che l'operazione è risultata più facile. Una stupidata”. Ride. Ed è finita. Ali sta cucendo. Non ho sentito il minimo dolore, il minimo fastidio. Son passati 40 minuti e anche il freddo se n'è andato. Sei sopravvissuto vecchio mio. Guarda, non sei morto. Sei solo un po' intontito e hai superato la prova. Ora chiudi gli occhi, sei a posto col fisico e con l'ideologia. Hai fatto l'operazione all'ospedale di stato, come un afgano qualsiasi (bhe non proprio, visto che mi hanno trattato coi guanti bianchi). Adesso rilassati. Pensa a quella bella fanciulla che ti piacerebbe ti tenesse la mano e che al tuo risveglio ti potrebbe portare del tè verde senza zucchero...Fingi e lascia che la finzione si trasferisca nel sogno. Buio.
Alle sette l'autista è già fuori che ci aspetta. Cammino già fino alla macchina. I medici mi sorridono, gentili, vagamente ironici. La notte è buia, fuori. E profonda. E per la prima volta in vita mia sono contento di aver passato un pomeriggio in una sala operatoria. E il paziente ero io. Esteqlal, ospedale distrettuale di Kabul, Afghanistan.

Nessun commento: