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lunedì 12 settembre 2011
AFGHANISTAN E 11/9, DIECI ANNI DOPO
All'inizio fu l'Afghanistan. Le schermaglie con bin Laden erano ben precedenti e Washington aveva reagito bombardando Karthum e la frontiera afgano pachistana. Ma è l'11 settembre a dare il via all'operazione militare Enduring Freedom e alla guerra condotta da una “coalizione di volenterosi” tra cui anche l'Italia.
Qualcuno – pochi, pochissimi – aveva messo in guardia. Non solo per motivi ideologici ma ricordando a militari e politici le lezioni della Storia: un posto maledetto, senza una pianta ma zeppo di anfratti. Un popolo fiero e capace di lunga resistenza: affabile ma che può diventare maledettamente ostile e nazionalista benchè la vulgata insista sull'autonomia etncio/tribale. I britannici ci persero qualche guerra. E con loro i sovietici in quella riedizione infinita del “Grande gioco” che piaceva a Kipling e che aveva visto spiarsi, sulle montagne dell'Hindukush, inglesi e russi per tentare di dominare quell'inutile paese di sassi, dove cresce bene solo il mandorlo e il pistacchio, così strategico sulle rotte dell'Asia.
Ma intanto, e prima che il deserto afgano si trasformi un pantano, l'ideologia dell'esportazione della democrazia fa un altro passo avanti: in Irak. L'Irak non solo porta via risorse e attenzione dalle terre dove, a breve, si riorganizzeranno i talebani ma diventa presto un'avventura sottovalutata. La “missione compiuta” che con un sorriso compiaciuto il presidente Bush annuncia sulla tolda di una portaerei è solo l'inizio di un capitombolo politico (per non parlare della tragedia di migliaia di vittime) che si abbatte sugli Stati uniti, un po' alla volta abbandonati da “volenterosi” sempre più riottosi.
Per un lungo periodo le cronache si occupano principalmente dell'Irak, una guerra che sembra non insegnare nulla. Gli americani l'hanno pianificata a tavolino e hanno fatto uscire dal cappello una ricetta che, applicata, si rivela un fallimento. Ma in Afghanistan (dove il “nuovo” era già stato enucleato a Bonn nel 2001 ma che, vista l'arretratezza del paese, necessitava di una terapia più lunga) gli americani trasferiranno più o meno la stessa ricetta irachena. Un parlamento fatto a nostra immagine e somiglianza, l'investimento su questa o quella fazione, il gioco pericoloso delle divisioni etnico religiose, la sfaldamento dell'esercito, la presenza di un governatore pro tempore per curare gli interessi (petroliferi) dell'Impero. In Iraq qualcosa funziona. Ma il Paese tra i due fiumi era anche con Saddam una nazione avanzata, con un'amministrazione moderna e tassi di analfabetismo irrilevanti. In Afghanistan è diverso. Un popolo abituato alla presenza formale di un monarca e che da almeno trecento anni è uso a decidere attraverso l'assemblea dei suoi capi tribali, non sa che farsene di un parlamento bicamerale. I vecchi generali dell'epoca sovietica vengono mandati a casa e si continua a puntare sui signori della guerra, sostenuti dal solido mito di Ahmad Shah Massud, il martire del 9 settembre 2001 i cui epigoni si spartiscono, Karzai volente o nolente, il Paese.
Le macerie di quelle guerre originate da un mix di vendetta e desiderio di riaffermazione, illuminate dalla sacra fiamma della missione umanitaria e democratica, sono ancora lì come un altro ground zero coperto di cadaveri: oltre 100mila in Iraq, forse trentamila in Afghanistan.
Solo una responsabilità americana? Troppo facile. Gli europei, nonostante i distinguo, i se e i ma, chinano sempre il capo. Racconta un diplomatico dei corridoi di Bruxelles, nel quartier generale della Nato, dove si sommano i malumori degli alleati. Che, appena entra il responsabile americano, chinano il capo e ammutoliscono. Non una parola sui bombardamenti che uccidono i civili, non una sulla striminzita missione di polizia europea, né una sul ruolo dell'Onu che andrebbe rafforzato, allargato, sostenuto. Va bene così e, semmai, appena possibile si va via dalla porta secondaria. E' successo in Irak.
In Afghanistan? Anche li silenziosamente stiamo facendo le valigie. Attenti a non inciampare sulle macerie dell'11 settembre.
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