Al Senato degli Stati uniti è stato votato alcuni giorni fa un pacchetto di aiuti economici al Pakistan per un miliardo di dollari che devono foraggiare il Pakistan Counter-insurgency Capability Fund. Ma l'approvazione, che dà luce verde all'assegno, contiene una postilla.
La postilla condiziona l'aiuto a un più duro atteggiamento del Pakistan contro il cosiddetto Haqqani network, una delle fazioni talebane più vicine ad Al Qaeda e una delle più crudeli: teorica degli attacchi kamikaze e rea, secondo l'intelligence afgana e americana, dall'assalto in grade stile contro l'ambasciata Usa a Kabul di un paio di settimane fa. Gli americani, che sul Pakistan hanno usato a volte il pungo di ferro, a volta il guanto di velluto, sembrano adesso molto intenzionati a privilegiare il primo. Gli Haqqani godrebbero di un forte appoggio dell'Isi, i servii, più o meno deviati, di Islamabad, nell'occhio del ciclone da sempre ma vieppiù sotto accusa, col conforto di Wikileaks per il passato, dopo la messa a punto dell'operazione bin Laden mesi fa.
Probabilmente gli Haqqani rappresentano l'intralcio maggiore nel negoziato sotto tracia che Washington sta conducendo con i talebani. Quanto sia reale e quali siano gli interlocutori è piuttosto nebuloso ma i contatti con la shura di Quetta (mullah Omar) sembrerebbero avviati e un posto a tavola sarebbe garantito anche a Gulbuddin Hekmatyar, signore della guerra ed ex mujaheddin alleato tattico dei talebani. Gli Haqqani invece sarebbero fuori. Sia perché qaedisti, sia perché più eterodiretti di altri dal Pakistan che vorrebbe mettere i piedi nel piatto negoziale afgano per garantirsi un governo amico una volta che le truppe straniere se ne saranno andate.
Ma la durezza con cui gli americani, dopo anni di diplomatica tolleranza, mettono adesso sotto accusa i pachistani ha fatto reagire non solo i partiti islamisti ma anche gli alti gradi militari, obbligando il governo civile, in qualche modo, a far fronte contro quella che a tutti appare un'indebita ingerenza. La tensione tra i due Pesi non si placa; e viene solo attenuata dagli assegni a nove zeri americani. Ma il fragile Pakistan avrebbe bisogno di ben altro. Di una diplomazia più attenta a non farlo sentire un paria e capace di presentare l'Occidente - agli occhi dei pachistani, ancor prima che a quelli dei vertici - come un alleato vero e non un burattinaio che utilizza il Paese di puri quando gli fa comodo e lo mette in castigo quando gli sembra troppo ribelle.
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