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martedì 15 novembre 2011

LA VIGILIA DELLA LOYA JIRGA

Il conto alla rovescia per la Conferenza di Bonn del 5 dicembre, a dieci anni da quella che nel 2011 sancì la nascita del “nuovo Afghanistan” di Karzai, è cominciato. Ma la tappa intermedia è già domani, quando 2030 delegati da 34 province si riuniranno nella Loya Jirga (Grande Assemblea), dove il protagonista sarà ancora Karzai. In vista di questi due appuntamenti, che seguono a ruota l'incontro di Istanbul organizzato da Ankara e Kabul all'inizio di novembre per disegnare un quadro di cooperazione regionale, tutti stanno (è il caso di dirlo) affilando le armi. Più o meno pacificamente.

In vista di Bonn lancia un appello una vasta coalizione di Ong e associazioni della società civile (tra cui l'italiana “Afgana”) che fanno capo alla rete dell'European Networkof NGO's in Afghanistan (Enna), preoccupata che “Bonn2”, come viene chiamata, si risolva in una passerella di buone intenzioni col compito di coprire il “tutti a casa” deciso dalla comunità internazionale che, oltre ai soldati, potrebbe ritirarsi definitivamente lasciando nel Paese solo i cocci di dieci anni il cui bilancio è più un fallimento che un successo. I talebani, in vista della Jirga del 16 novembre, hanno invece minacciato i partecipanti, considerati “traditori” e, per prendersi beffe di Karzai, ieri hanno fatto sapere di avere in mano la “mappa della sicurezza” dell'Assemblea.

Il governo ha respinto al mittente ma la guardia resta alta. anche perché all'ultima Jirga un paio di razzi avevano raggiunto la kermesse facendosi beffe di soldati e poliziotti. Quel che più preoccupa però è il vuoto politico che circonda quella che, ancora prima di Bonn, appare, più che un esercizio di democrazia “tribale” (le jirga è il luogo tradizionale del confronto) una passerella a uso e consumo del presidente che ha sentito l'obbligo di chiarire, giocando su un'interpretazione univoca del significato di jirga, che si tratta di un momento “consultivo”: consigli al governo che poi deciderà. La decisione finale in realtà è già presa, ma Karzai cerca un avallo al piano di cooperazione strategica con gli Stati Uniti, già santificato in diverse conferenze, che fissa al 2014 il termine per la transizione dei poteri e un appoggio indefinito degli americani che, non è chiaro in quale forma, resteranno. Aspetto controverso, perché il parlamento ha già criticato l'accordo tra il governo e la Nato, sostenendo che viola la sovranità nazionale. Infine l'altro argomento riguarda il processo di pace, su cui però non esiste nemmeno da parte di Karzai una linea chiara. Chissà se emergerà nei quattro giorni di discussione.

La Jirga rischia insomma di essere un fallimento: in parlamento Karzai è senza maggioranza e la società civile afgana, attraverso le sue diverse reti e associazioni, teme, al solito, che la jirga bypassi le sue richieste facendosi beffe dei pochi diritti faticosamente acquisiti (specie per le donne) e limitandosi a decidere quanto già deciso.

Il ruolo della società civile, in Afghanistan e durante Bonn, è il focus del documento delle Ong europee che temono il solito meccanismo di esclusione e orecchie da mercante sui timori che siano ignorate le richieste che vengano dal basso. A Bonn, come nella jirga, il rischio è che tutto sia deciso al chiuso di quattro pareti, senza meccanismi di verifica e senza che venga dato ascolto a chi in Afghanistan dovrebbe contare di più: i cittadini. Ma la richiesta più interessante di Enna riguarda il processo di pace: Bonn, dice il documento, dovrebbe indicare in che termini debba agire un mediatore di alto profilo. Proprio quello che manca a un negoziato di cui non si sa molto. E che, senza una figura terza riconosciuta dalle parti (compresa la società civile afgana), rischia di non andare da nessuna parte.

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