Lo spaventoso attacco dell'11 giugno che ha ammazzato quasi 20 persone (erano 17 nel bilancio della giornata ma molta gente muore poi in ospedale) è stato rivendicato dai talebani in un comunicato che però era già sparito dalla home dell'Emirato nei giorni a seguire. La dinamica è stata la seguente: un'auto piena di esplosivo è esplosa nel parcheggio della corte suprema mentre tre minibus aspettavano i funzionari in uscita alle 16 di quel dannato pomeriggio. Nel rivendicare, i talebani hanno dichiarato di aver ucciso 50 top-level della corte (ossia giudici o alti funzionari) ma, a parte il numero, è abbastanza facile capire che i top alla corte ci vanno in macchina e che a prendere i bus, se non son proprio gli inservienti, sono i funzionari di livello medio-basso. E' stata dunque una strage terroristica premeditata di civili, posto che è difficile considerare la Corte suprema – e soprattutto i suoi uomini, siano o meno giudici – un obiettivo militare. Ci sono già stati altri attentati ai ministeri (Giustizia, Interni, etc) ma mai così stragisti. Mai così mirati – sebbene l'attacco alla corte sia rivendicato come politico-militare – ai civili, che tali sono i suoi funzionari. Non si tratta qui di effetti collaterali in un'azione di guerriglia (come io ritengo l'assalto all'aeroporto nei giorni precedenti e persino l'attentato che ha ucciso il povero La Rosa checché ne pensi il ministro Mauro): si tratta, nel caso della corte, di un atto di terrorismo bello e buono che si differenzia da un atto di guerra quando l'obiettivo sono appunto civili (e non militari o poliziotti), fossero pure funzionari del governo più o meno top. Il salto logico mi preoccupa. Non siamo ancora alle bombe nei bazar ma la faglia è sottile, il confine fragile.
I talebani (quelli in capo a mullah Omar) hanno finora seguito una strategia ambigua: primo, rivendicano tutte le azioni tranne quelle eclatantemente fuori linea (è stato il caso dell'attacco all'Icrc di Jalalabad, da cui hanno preso le distanze, e fu il caso dell'eccidio due anni fa di un'intera Ong nel Nord che prima fu rivendicato e poi smentito); secondo, le azioni tendono a essere solitamente “di guerra” contro obiettivi militari (caserme, check point, convogli) stranieri e nazionali, una pratica che però (con le bombe sporche Ied) coinvolge in massima parte i civili, effetti collaterali di queste azioni. Nei fatti la sostanza non cambia, ma per capire come si muove il movimento è bene fare la distinzione. Come dicevo, fatti di sangue gravi ed eminentemente terroristici con un grosso coinvolgimento di civili, sono avvenuti ma assai raramente (ci sono state ad esempio anche bombe nelle moschee). Il succo che se ne può trarre è che, com'è noto, nel movimento si agitano anime diverse con strategie e agende differenti. La shura di Quetta, espressione del sito Voices of Jihad e di mullah Omar, per non sbagliare rivendica quasi tutto, salvo fare qualche distinguo: una tattica per alzare il livello dello scontro e fare proprie anche azioni che non sono condivise pienamente dalla shura stessa. E' in questo senso che la guerriglia, che in realtà è in difficoltà dal punto di vista militare, si va irachizzando (o pachistanizzando che mi pare più appropriato). Vittime della loro stessa frammentazione, i talebani stanno perdendo di vista l'obiettivo del consenso che, con certe azioni (non con altre), inevitabilmente si riduce. Una strategia perdente anche se al momento riesce a far parlare di sé: con la complicità di una stampa disattenta e ormai incapace di analisi tanto è lontana dal campo di battaglia, che ha dato rilievo magari all'attacco all'aeroporto o all'uccisione di La Rosa ma che ha completamente ignorato (specie in Italia) la strage della corte suprema. La più interessante per capire come stanno andando le cose.
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