Le
dimissioni di Zia ul Haq Amarkhil, capo della segreteria e numero due della Commissione
elettorale indipendente afgana (Iec),
segnano per il candidato in odore di sconfitta Abdullah Abdullah la vittoria più significativa dopo aver già incassato la prima con il via libera del presidente Hamid Karzai a un intervento
delle Nazioni Unite che non potranno, per altro, che seguire le
future evoluzioni del processo elettorale, potendo far poco su quanto
accaduto in passato, prima e dopo il giorno del voto del 14 giugno.
Col sacrificio di Amarkhil
Abdullah dunque vince un round ma la battaglia finale è già persa.
Nessuno vuole invalidare il processo elettorale: non lo vuole Ashraf
Ghani e nemmeno l'Onu. Ancor meno gli Stati Uniti, l'Europa e tutti i
Paesi che hanno partecipato ad Isaf e per i quali delle buone
elezioni sono il miglior viatico per chiudere la partita afgana.
Infine non lo vogliono gli afgani, piuttosto stufi di questi tira e
molla che paventano l'ennesimo scenario armato. Abdullah non può non
saperlo, dunque? L'ipotesi meno peregrina (c'è anche chi avanza la
teoria - debole - che Karzai sia dietro a tutto questo) è che il candidato
nordista voglia perdere almeno con onore (e cioè non con uno scarto
di oltre un milione di voti) e che ora stia alzando la posta,
trattando per sé e per i suoi in vista del nuovo esecutivo. Obtorto
collo dovrà accettare
il risultato, per ora rinviato forse proprio perché ci sia il tempo
di un accordo sul futuro. Soldi dicono alcuni, potere sostengono
altri. Influenza e rispetto, forse, così che il piccolo medico
dell'eroe nazionale Ahmad Shah Massud, di cui era il portaborse
sanitario, possa lui pure entrare nel pantheon dei Grandi.
La
sfida però non finirà oggi e neppure domani e forse ci riserverà
altre sorprese. La più temibile, a nostro modestissimo avviso,
potrebbe venire dalle province. Cosa dirà Abdullah ai commander del
Nord se non potrà mantenere le promesse pre-elettorali? E questi si
accontenteranno o coveranno sentimenti di vendetta da trasformare in
omicidi mirati, ritorsioni, minacce verso chi si sarà guadagnato il
posto al sole? La capacità di tenere assieme il Paese, la capacità
di saldare equilibri ed evitare spinte centrifughe o, peggio
secessioniste, è la vera nuova sfida del futuro presidente. Una
sfida più infida di quella rappresentata dalla guerra in corso. Che
anche oggi ha chiesto e ottenuto il suo rituale sacrificio di vite umane qui e
là per una terra che della guerra non ne può davvero più.
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