
Il suo discorso rispondeva anche indirettamente a Rangeen Dadfar Spanta, già ministro degli Esteri e poi consigliere speciale di Karzai, un personaggio importante che non gli ha risparmiato critiche dopo che Ghani aveva definito i talebani "opposizione politica". Forse dimenticando che proprio Karzai si era spinto a chiamare "fratelli" i talebani, Spanta ha sostenuto che ai terroristi non va riconosciuto lo status che può essere attribuito solo a chi lotta con gli strumenti della democrazia. Ma Ghani, come allora Karzai, cerca un varco nella galassia armata proprio per individuare un'opposizione politica, ossia il possibile futuro partito talebano di domani: disposto a negoziare e a rinunciare alla lotta armata in cambio del riconoscimento appunto dello status di opposizione o partito politico.
La strada è in salita e per ora alla luce del sole c'è solo lo scontro armato. Ma Ghani deve pur sapere che esistono molte anime nella guerriglia afgana e che molte sono eterodirette, finanziate da Paesi più o meno vicini, più o meno refrattarie alle sirene del jihadismo internazionale. Le parole dunque sono importanti. E la scelta di Ghani -a me pare - giusta. Sul terrore non si tratta (nel suo discorso Ghani è stato chiaro) ma per far finire la guerra bisogna negoziare. La parte più spinosa è trovare l'interlocutore
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