La firma a Kabul che ha spianato la strada a "Resolute Support" (foto Nato) |
Non sarà “risolutiva” ma solo
“risoluta” la missione “Resolute Support” che ha ormai
ottenuto anche il via libera dal parlamento afgano e che impiegherà
circa 12mila soldati con compiti di formazione delle forze armate
afgane a partire dal 2015. Almeno nel nome della missione, la Nato fa
mostra di pragmatismo, sul resto si vedrà. Ma se non è compito di
un'alleanza militare far quadrare i conti della politica (quelli
militari sono per altro pessimi) per ogni Paese che partecipa la
questione politica si impone. Tanto per cominciare con numeri e
costi. In attesa di sapere di che morte morire nella continuazione
della guerra con altri mezzi, il parlamento italiano per ora i numeri
li sa a spanne: 200, 500, 750, 1800 soldati? Una forbice che fa
lievitare i costi tra 100mila e almeno mezzo milione di euro. Ma se è
l'obiettivo politico quello che più conta, come, su cosa e con che
mezzi Roma intende impegnarsi nei prossimi anni (almeno dieci come
chiede a Londra la società civile afgana)?
A Bruxelles il ministro Gentiloni ha
appena incontrato privatamente Ashraf Ghani e, al termine dell'ultimo vertice
dell'Alleanza e alla vigilia della Conferenza di Londra, ha detto di aver ribadito al nuovo presidente
l'apprezzamento per il cammino di riforme intrapreso da Kabul e che,
dal 2015, la missione italiana cambierà segno: che il sostegno sarà
più economico che militare più dunque rivolto alla cooperazione
civile che non a quella con la divisa. Se il buon giorno si vede dal
mattino la riduzione del contingente sarà il primo vero segnale. Il
secondo sarà quello che riguarda i fondi messi a disposizione della
cooperazione civile con l'Afghanistan con risorse che potrebbero
proprio essere drenate dalla spesa militare come da anni chiede
l'associazionismo italiano impegnato in quelle terre. Presto la nuova
legge che riguarda le missioni all'estero dovrà tornare in aula e lì
si capirà se effettivamente ci sarà una svolta o una semplice
spending review.
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