La prossima settimana a Ginevra, il Consiglio dell'Onu per idiritti umani, l'erede della vecchia “Commissione”, dovrebbe
discutere del progetto di inserire tra i diritti fondamentali
dell'uomo quello …alla pace. Condizionale d'obbligo perché la
querelle dura da anni e alcuni Paesi han sempre posto il veto su un
diritto che, se acquisito, potrebbe in caso di conflitto trascinare
chi lo tradisce davanti alla corte penale dell'Aja.
Da
ieri il Consiglio dovrà fare i conti anche con un appello in più
affinché il diritto alla pace diventi una prerogativa del genere
umano come quello alla salute o alla libertà: un appello che arriva
da Udine, città nota per essere considerata la “capitale della
Grande Guerra”, di cui si “celebra” tra un mese il centenario
(nel conflitto che uccise venti milioni di persone l'Italia entrò il
24 maggio 2015). La città, che nelle parole del sindaco Furio
Honsell ripudia volentieri quella funerea nomea proponendosi adesso
come «capitale
nazionale della pace», si
candida proprio a essere uno degli avamposti del diritto alla pace,
che in questi giorni si celebra – quello sì volentieri – con un
evento che ha portato nel capoluogo circa 3500 studenti da 68 città
e 15 regioni italiane che da giovedi a sabato hanno ragionato e
ragionano della guerra e di come poterne uscire. Lo fanno in modo del
tutto particolare. Ieri con una serie di incontri laboratorio con
docenti, studiosi ed esperti della triste materia e oggi con un
“meeting di pace nelle trincee della Grande Guerra” (giornata che
dà il titolo all'evento) che non è una visita guidata alle memorie
del conflitto ma l'idea di utilizzare un luogo evocativo per
riflettere sul grande massacro da cui forse presero spunto i molti altri che hanno avvelenato il secolo breve.
Organizzata
dalle istituzioni locali (Regione, città di Udine, altri Comuni),
dal Coordinamento degli enti locali per la pace con la Tavola dellapace e sostenuta da altre sigle della società civile (dall'Agesci al
Movimento di volontariato), la tre giorni studentesca nei luoghi
storici del primo conflitto globale non è dunque la scelta di una
passeggiata commemorativa né tantomeno “celebrativa”. Ma un
laboratorio a cielo aperto per tentare – quantomeno riflettendoci –
a ripudiarla la guerra, come suggerisce peraltro un bistrattato
articolo della nostra Costituzione. La scelta di puntare sulla
didattica, con la collaborazione del ministero dell'Istruzione e una
rete di scuole per la pace, si deve al desiderio di dialogare già
oggi coi cittadini di domani, vittime frequentemente di
un'informazione fuorviante e di scelte dei governi spesso non
condivise e comunque mai discusse.
L'appello
sul diritto alla pace, accanto a una “dichiarazione di pace” che
risponde
simbolicamente alla “dichiarazione di guerra”
all'Austria di cento anni fa, è dunque una delle proposte che esce
da trincee trasformate per l'occasione in strumenti per tentare di
superare la scelta della guerra come mezzo per risolvere i problemi
del mondo. In uno dei laboratori, Yuri spiega che non crede che
quella di Karim Franceschi, il giovane di Senigallia partito per
alcuni mesi alla difesa di Kobane, sia una buona scelta anche se per
una causa “giusta”: perché «combattere
la guerra con la guerra significa solo alimentarla».
E Lorenzo, un compagno di scuola di Milano, fa un passo in più:
sprona alla ricerca di strumenti che bypassino le armi cercando
altrove le risposte da dare. Con un cammino su cui sembra siamo
ancora molto indietro. Ma se costruire la pace, dice Flavio Lotti del
coordinamento, è proprio «camminare»
in un pur lungo percorso, anche queste voci contribuiscono a dare
linfa a un movimento che, in tempi recenti, registra pesanti battute
d'arresto. E chissà che quelle voci, da Lecce, da Tivoli, da
Pontedera, non vadano oltre le trincee. Arrivando fino a Ginevra.
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