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sabato 18 aprile 2015

Se in trincea si parla di pace

La prossima settimana a Ginevra, il Consiglio dell'Onu per idiritti umani, l'erede della vecchia “Commissione”, dovrebbe discutere del progetto di inserire tra i diritti fondamentali dell'uomo quello …alla pace. Condizionale d'obbligo perché la querelle dura da anni e alcuni Paesi han sempre posto il veto su un diritto che, se acquisito, potrebbe in caso di conflitto trascinare chi lo tradisce davanti alla corte penale dell'Aja.

Da ieri il Consiglio dovrà fare i conti anche con un appello in più affinché il diritto alla pace diventi una prerogativa del genere umano come quello alla salute o alla libertà: un appello che arriva da Udine, città nota per essere considerata la “capitale della Grande Guerra”, di cui si “celebra” tra un mese il centenario (nel conflitto che uccise venti milioni di persone l'Italia entrò il 24 maggio 2015). La città, che nelle parole del sindaco Furio Honsell ripudia volentieri quella funerea nomea proponendosi adesso come «capitale nazionale della pace», si candida proprio a essere uno degli avamposti del diritto alla pace, che in questi giorni si celebra – quello sì volentieri – con un evento che ha portato nel capoluogo circa 3500 studenti da 68 città e 15 regioni italiane che da giovedi a sabato hanno ragionato e ragionano della guerra e di come poterne uscire. Lo fanno in modo del tutto particolare. Ieri con una serie di incontri laboratorio con docenti, studiosi ed esperti della triste materia e oggi con un “meeting di pace nelle trincee della Grande Guerra” (giornata che dà il titolo all'evento) che non è una visita guidata alle memorie del conflitto ma l'idea di utilizzare un luogo evocativo per riflettere sul grande massacro da cui forse presero spunto i molti altri che hanno avvelenato il secolo breve.


Organizzata dalle istituzioni locali (Regione, città di Udine, altri Comuni), dal Coordinamento degli enti locali per la pace con la Tavola dellapace e sostenuta da altre sigle della società civile (dall'Agesci al Movimento di volontariato), la tre giorni studentesca nei luoghi storici del primo conflitto globale non è dunque la scelta di una passeggiata commemorativa né tantomeno “celebrativa”. Ma un laboratorio a cielo aperto per tentare – quantomeno riflettendoci – a ripudiarla la guerra, come suggerisce peraltro un bistrattato articolo della nostra Costituzione. La scelta di puntare sulla didattica, con la collaborazione del ministero dell'Istruzione e una rete di scuole per la pace, si deve al desiderio di dialogare già oggi coi cittadini di domani, vittime frequentemente di un'informazione fuorviante e di scelte dei governi spesso non condivise e comunque mai discusse.


L'appello sul diritto alla pace, accanto a una “dichiarazione di pace” che risponde
simbolicamente alla “dichiarazione di guerra” all'Austria di cento anni fa, è dunque una delle proposte che esce da trincee trasformate per l'occasione in strumenti per tentare di superare la scelta della guerra come mezzo per risolvere i problemi del mondo. In uno dei laboratori, Yuri spiega che non crede che quella di Karim Franceschi, il giovane di Senigallia partito per alcuni mesi alla difesa di Kobane, sia una buona scelta anche se per una causa “giusta”: perché «combattere la guerra con la guerra significa solo alimentarla». E Lorenzo, un compagno di scuola di Milano, fa un passo in più: sprona alla ricerca di strumenti che bypassino le armi cercando altrove le risposte da dare. Con un cammino su cui sembra siamo ancora molto indietro. Ma se costruire la pace, dice Flavio Lotti del coordinamento, è proprio «camminare» in un pur lungo percorso, anche queste voci contribuiscono a dare linfa a un movimento che, in tempi recenti, registra pesanti battute d'arresto. E chissà che quelle voci, da Lecce, da Tivoli, da Pontedera, non vadano oltre le trincee. Arrivando fino a Ginevra. 

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