Nel mrino c'è infatti Omar Safai (all'estero al momento dell'attacco), accusato dallo speaker del Parlamento Abdul Rauf di inesperienza e irresponsabilità: un colpo duro per il presidente Ashraf Ghani, cui spetta la nomina dei governatori delle province.
A ormai cinque giorni dalla clamorosa sortita talebana, l'Afghanistan fa i conti con la prima vera dimostrazione di forza della guerriglia che è segnata da almeno tre elementi: una sfida che viene per la prima volta da Nord e non da Sud; una mossa che rivela o tende a dimostrare che, nonostante la querelle interna seguita alla morte di mullah Omar, i talebani sono forti e compatti; infine una dimostrazione sul terreno alle cellule di Daesh in rapida ascesa nel Paese e che accusano i talebani di non essere stati capaci di costruire, come in Siria o in Iraq, aree controllate dalla guerriglia dove si viva islamicamente sotto un'amministrazione alternativa a crociati e governi corrotti.
Se la città sta già collezionando le sue macerie e la resistenza talebana è difficile da sradicare, la tensione della guerra al Nord si riflette intanto su Kabul. Mentre il presidente Ghani promette una rapida riconquista e istituisce tre commissione per individuare le responsabilità della caduta della città e individuare “spie”, il suo vice Abdullah chiede che le truppe occidentali continuino a sostenere un Paese che, ai suoi occhi, da solo non può farcela. Un appello condito da accuse feroci al Pakistan, reo di continuare l'appoggio alla guerriglia: un Paese cui invece Ghani aveva teso inizialmente la mano. Le accuse al Pakistan arrivano anche dal ministro della Difesa, Bismillah Khan Mohammadi, e dal vice comandante dell'esercito nazionale, Murad Ali Murad, secondo cui il piano di attacco a Kunduz è stato pianificato dall'Isi, i servizi segreti di Islamabad. La guerra al Nord spacca dunque il cuore politico del Paese e rimarca la differenza di vedute all'interno dell'amministrazione. Seppellendo per ora ogni spiraglio negoziale tra governo e guerriglia.
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