I due sfidanti del voto di domenica: Aung San Suu Kyi della Lnd Thein Sein, premier e capo dell'Usdp |
C'è di più: secondo un membro del maggior partito di opposizione, che fa capo alla Nobel birmana Aung San Suu Kyi, i suoi leader hanno messo in piedi una vera e propria purga dei candidati musulmani nelle liste elettorali: la leadership della Lega nazionale per la democrazia (Lnd) è spaventata – ha spiegato il personaggio ad Al Jazeera - dalla possibilità che il risveglio di un razzismo che vorrebbe difendere la purezza della razza e la religione della maggioranza e che si è scatenato negli ultimi anni contro la minoranza musulmana - il picco massimo si è verificato nel 2012 – riemerga facendosi propaganda elettorale. Un timore che l'ha decisa a espellere dalle fila dei suoi oltre mille candidati (regionali e nazionali) chiunque abbia il marchio del credo di Maometto, nonostante i musulmani in Birmania siano circa 5 milioni il che fa di loro una percentuale rilevante della popolazione del Paese: 48 milioni.
Nemmeno nelle liste del Partito della solidarietà e dello sviluppo al governo (Usdp) – sostenuto dai militari anche se veste abiti civili - ci saranno ovviamente musulmani. La pulizia etnico politica penalizza in particolare una comunità nel mirino da anni e bistrattata da sempre: i Rohingya, che una recente indagine di un gruppo di ricercatori della Yale Law School (la scuola universitaria di diritto della Yale Univesity con sede in Connecticut) sostiene siano stati oggetto di azioni od omissioni da parte del governo birmano che potrebbero addirittura configurare un'accusa di genocidio. Nello Stato del Rakhine (Arakan), a oltre un milione di musulmani rohingya è stata negata la cittadinanza sostenendo che si tratta di “bengalesi” immigrati. Un'accusa diventata pogrom verso la comunità che vive al confine con l'India e che recentemente è stata al centro di una fuga di massa via mare per cercare altrove rifugio. Ma rohingya o meno, il reato è essere di fede islamica. Meglio prevenire polemiche e strumentalizzazioni: che non si presentino né abbiano deputati. Che stiano insomma fuori dal gioco elettorale il cui aspetto “democratico” acquista dunque un colore molto opaco. I metodi sono stati ovviamente “legali” perché molti musulmani non hanno i documenti in regola e dunque è stato facile per le commissioni elettorali spuntare i loro nomi dalle liste.
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Di fronte all'ondata anti musulmana, soprattutto quando - dopo le violenze del 2012 - i rohingya hanno cominciato a fuggire in massa dal Myanmar, ha stupito il silenzio di Aung San Suu Kyi, la leader della Lega per la democrazia, che per opportunità aveva preferito non prendere posizione attirandosi le critiche, seppur velate, persino del Dalai Lama. Ma adesso, la vicenda della purga pre elettorale, che coinvolgerebbe l'intera comunità islamica, fa scendere un'altra ombra sulla donna che tutti vorrebbero a capo dello Stato (anche se la legge sulla nazionalità glielo vieta per via dei figli con passaporto britannico). Un brutta ipoteca sul voto di domenica prossima.
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