Visualizzazioni ultimo mese

Cerca nel blog

Translate

lunedì 18 aprile 2016

Post coloniale: rubare è il nostro mestiere. Il caso Koh-i-Nur

Da oggi il titolo di questo post potrebbe essere causa di una citazione per danni. E si perché le diatribe post coloniali non finiscono mai e, sorprendentemente, anche chi ne ha subito gli effetti è pronto a riconoscere che in molti casi furto non fu. Non sempre ovviamente: chiedetelo un po' ai Greci che ne pensano dei frontoni del Partenone che si trovano al British Museum o agli Etiopi se son contenti che la stele di Axum ad Axum sia tornata. Ma oggi,  davanti alla Suprema corte indiana il General Solicitor  Ranjit Kumar, che esprimeva l'opinione del governo, ha dato ragione ai britannici sul famoso diamante Koh-i-Nur (Montagna di luce), gemma che adorna la corona di sua Maestà britannica da più di un secolo: 108 carati di diamante che sono un pezzo di Storia, coloniale e non. La causa sul diritto alla proprietà, l'ha promossa una Ong indiana, la All India Human Rights & Social Justice Front che però, oltre alla corona britannica, adesso ha contro il governo di Narendra Modi.

Quel diamante ha una lunga storia, anzi un'epopea che provo a riassumere in due parole: le origini sono incerte, probabilmente indiane, nell'Andra Pradesh, dove la gemma regale fu trovata pare nel XIII secolo. Finì nelle mani della dinastia indù dei Kakatiya, regno che fu poi spodestato dal sultanato di Delhi. Ma c'è chi dice che quella pietra già adornasse i tesori dei re ben prima della nascita di Cristo. A Delhi comunque siede  Babur, un uomo di origini turco mongole (discendeva da Tamerlano e Gengis Khan) ma molto influenzato dalla cultura persiana che nel '500 fonda in India l'impero moghul. Babur, che volle essere seppellito a Kabul (conquistata nel 1504)- e  dove tuttora si trova la sua tomba nei giardini che portano il suo nome -  si accaparra la gemma che diventa il "diamante di Babur", un re "afgano" a Delhi (anche se era originario della valle del Fergana, Babur si era, come dire, afganizzato e aveva fatto di quella città - dove alla fine volle essere seppellito per "vederne il cielo" - un giardino). Il gioiello entra dunque nella sfera afgano-persiana della storia e ancor di più quando diviene la pietra di Nader Shah, lo scià di Persia (1736–47) conquistatore, tra l'altro, dell'Afghanistan e in grado di invadere l'India battendo le truppe moghul. Ma gli afgani erano in agguato e quando il suo impero collassa, la gemma passa nelle mani di Ahmad Shāh Durrānī, il creatore di un regno afgano a tutti gli effetti, fondatore di quel che oggi consideriamo il Paese dell'Hindukush (muore nel 1772). Un suo discendente (su cui ci siamo a  lungo dilungati), Shah Shuja (1785-1842), diviene proprietario della pietra che però non gli porta fortuna. Uomo reinsediato al trono afgano dai britannici, sarà costretto alla fuga durante la quale porterà con sé la Montagna di luce.


Babur il grande: sopra Nader Shah
Shah Shuja chiede ospitaltà al re guerriero sikh  Ranjit Singh, che lo ospita a Lahore ma gli chiede in cambio la pietra, chissà se promettendogli un ritorno in Afghanistan. La pietra per Ranjit è il coronamento di un potere assoluto e ne fa dono a un tempio di Puri, in Orissa. Ma nel 1849 (Ranjit muore nel 1839), dopo la seconda guerra anglo-sikh, i britannici prendono possesso del Punjab e si accaparrano la pietra che viene ceduta alla Regina Vittoria mentre la Compagnia delle Indie si pappa tutto il resto dei beni del maharaja sconfitto.

Certo la pietra fu ceduta e non trafugata e vi è traccia di quei passaggi di mano sanciti da un trattato. Ma è una storia di vincitori e vinti e di una pietra, asiatica a tutti gli effetti, che la Regina d'Oltremanica voleva per sé in Europa (o meglio, nel Regno Unito). Potremmo chiosare che Vittoria forse non immaginava che, dall'India, avrebbe guadagnato un diamante ma, da lì a breve, nel 1947 avrebbe perso la perla dell'Impero: e cioè l'India intera, comprese le montagne dell'Andra Pradesh da cui proveniva la bella Koh-i-Nur




Nessun commento: