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venerdì 2 settembre 2016

Trentasei anni fa a Beirut: una (brutta) storia italiana

Italo Toni in una foto di Fausto Giaccone
Il 2 settembre 1980, i due giornalisti italiani Italo Toni e Graziella de Palo, scomparvero nella Beirut della guerra civile. Una storia italiana ancora coperta dal segreto di Stato. Un racconto per Wikiradio

Beirut, primo settembre 1980. Due giornalisti italiani si recano alla nostra ambasciata nella capitale libanese e confidano a un diplomatico di avere l’indomani, 2 settembre, un appuntamento con uomini del Fronte democratico per la Liberazione della Palestina. Sono preoccupati: «Se tra tre giorni non siamo rientrati in albergo, date l’allarme». Il giorno dopo, un’auto li preleva all’hotel Triumph, a Beirut Ovest. Non è chiaro di chi sia quell’auto; non lo sanno nemmeno Italo Toni e Graziella De Palo, i due reporter che da quel viaggio non faranno mai più ritorno. A 36 anni dalla loro scomparsa, i loro corpi non sono mai stati trovati e non si sa chi li andò a prendere né perché. Sono il simbolo di una delle storie più controverse del nostro Paese dove il segreto di Stato, omissioni, connivenze, servizi segreti e interessi si mescolano in un gioco delle ombre che né le inchieste giudiziarie né le indagini di colleghi e parenti hanno mai saputo completamente spiegare e dalle quali emergono solo spezzoni di verità.

Agenda rossa

I due giornalisti sono partiti per il Libano per continuare a lavorare sulle loro inchieste: Graziella è una specialista di traffico d’armi. Italo è un giornalista cui le redazioni vanno strette: ci rimane qualche mese al massimo, poi deve andare. E’ già diventato famoso per un’inchiesta sui campi d'addestramento palestinesi che, con le foto di Fausto Giaccone, è apparsa su Paris Match facendo il giro del mondo. E’ un filopalestinese militante che mescola il lavoro alla passione politica. Il Libano sembra il luogo ideale per entrambi. Nicola De Palo, cugino di Graziella e che ha ricostruito l'intera vicenda in un libro, ci restituisce parte della progettazione del viaggio attraverso il diario della giornalista che a un certo punto riappare. Scrive in “Omicidio di Stato” (Armando Curcio editore): «La sua agenda rossa è preziosa testimonianza dei preparativi: sulla pagina del 16 maggio appare l’abbozzo di una cartina geografica con una misteriosa freccia che parte dal Medio oriente e va verso la penisola greca e italiana… ».


Cosa voleva dire per Graziella quella freccia? Era un’esperta di traffico d’armi e Beirut è una delle grandi piazze di quel traffico. Armi che vanno e vengono. Anche da e per l’Italia. Era questo il motivo che l’aveva spinta a seguire Toni in Libano? Alvaro Rossi, un parente di Italo cui ha dedicato il libro “Il caso Toni De Palo” e un sito  traccia questo profilo del giornalista: «Era nato a Sassoferrato nel 1930 da una famiglia apprezzata di artigiani del ferro. Ma lui ha deciso di seguire un’altra strada. E’ maestro elementare, ma dopo pochi anni si trasferisce a Roma, dove lavora al periodico della Federazione giovanile socialista “La Conquista”, e poi all’”Avanti!”, al settimanale “L’Astrolabio”, al “Quotidiano dei lavoratori”, al “Diario” di Venezia ed alla sua agenzia “Notizie”…. Professionalmente si è sempre interessato delle vicende del vicino oriente e suo è il “colpo giornalistico” che rivela al mondo l’esistenza dei primi campi di addestramento della guerriglia palestinese… è un socialista sempre disposto a muoversi in modo istintivamente partecipe e solidale verso i deboli e le vittime delle violenze e dei soprusi».

Inchieste pericolose


Forse Toni vuole ripetere lo scoop di Paris Match o trovare altre strade. Chi lo ha conosciuto lo dipinge come un uomo appassionato, colto, pieno di contatti ma che a volte, pur di arrivare allo scopo, non esita a correre rischi. In lui, dicono le testimonianze, si mescola il desiderio di conoscere a fondo la realtà con la voglia di viverla in prima persona. Probabilmente è cosciente dei rischi e il viaggio lo ha preparato con cura. Quanto a Graziella, è molto più giovane: è nata a Roma nel ‘56. E’ meticolosa e non ha paura di addentrarsi in inchieste che scottano: la Fiat degli anni caldi, il lavoro sporco delle multinazionali, il traffico d’armi... Il 21 marzo, due mesi prima del viaggio, Paese Sera pubblica un suo articolo dal titolo “False vendite, spie, società fantasma: così diciamo armi”. Graziella, che ha indagato anche sulle coperture fornite dai servizi italiani, si espone. Forse è proprio nell’ostinata passione per le inchieste che va cercata una delle chiavi della sua scomparsa.

Quando è certo che sono stati rapiti inizia l’odissea delle famiglie. Sono soprattutto i De Palo, la madre Renata Capotorti e i fratelli Giancarlo e Fabio, a darsi da fare. Ma l’invito è il silenzio: nulla deve trapelare affinché ricerche e trattative vadano in porto. E in effetti solo il 2 ottobre, sulla base di un lancio Ansa, i giornali danno la notizia della scomparsa. Forse è stato l’ambasciatore a Beirut Stefano D’Andrea a far uscire la notizia. Fin da subito si nota infatti un contrasto tra come agisce l’ambasciatore a Beirut e come si muove la Farnesina a Roma. D’Andrea, poi sollevato dall’incarico e spedito in un’altra ambasciata nei Paesi scandinavi, non la vede allo stesso modo del segretario generale Malfatti di Montetretto. E non la vede allo stesso modo di Stefano Giovannone, colonnello del Simsi alle dipendenze del generale Giuseppe Santovito a capo dell’allora servizio segreto militare. Giovannone - accusato di favoreggiamento e rivelazione di segreti di Stato nell'istruttoria del magistrato Renato Squillante sulla scomparsa di Toni e Graziella e poi inquisito nell'inchiesta sui rapporti fra palestinesi e Brigate rosse, è “il nostro uomo” a Beirut. Parla l’arabo. Lo chiamano “Stefano d’Arabia” o “il maestro”. Tra lui e l'ambasciatore non corre buon sangue. Il primo è convinto che Giovannone stia coprendo delle responsabilità. Il secondo detesta i modi troppo ufficiali del diplomatico. La vera arte di Giovannone infatti è il depistaggio. Sarà una costante dell’intera vicenda con piste che si intersecano e si confondono. C’è quella siro palestinese cara a D’Andrea e che viene rapidamente abbandonata. C’è quella falangista – la più improbabile – che è invece suggerita da Giovannone.

Sappiamo che a organizzare il viaggio in Libano ci ha pensato l’Olp di Arafat, attraverso la sua “ambasciata” a Roma. Ma una volta a Beirut, i due reporter hanno preso accordi anche col Fronte Democratico – una delle sigle più radicali dell’Olp - per un viaggio nel Sud che deve appunto iniziare il 2 settembre. E lì che accade qualcosa. Lo sappiamo grazie a Lya Rosa, una fonte scovata dalla caparbietà del parlamentare ecologista Marco Boato. Sono entrambi trentini e il senatore riesce a rintracciare a Beirut la “pasionaria” che presta il suo aiuto ai palestinesi come infermiera. Rosa conferma che fu un'auto di Fatah a prelevare i due e non quella del Fronte democratico. Ma cosa sia esattamente successo, se effettivamente l'auto era di Fatah e cosa accadde dopo non lo sappiamo. Non sappiamo se vi fu una prigionia e quanto durò e se, come si disse, i palestinesi consideravano i due delle spie. Quel che sappiamo è che allora i vertici della sicurezza e della diplomazia del nostro Paese propendono per mesi per la pista falangista, a destra insomma, tra gli estremisti cristiani. Ma è un depistaggio che si concluderà solo con il rinvio a giudizio di Santovito e Giovannone. Quanto alla Farnesina, il segretario generale di allora, Malfatti di Montetretto, risulterà iscritto alla loggia eversiva P2 di Licio Gelli. In quell'elenco c'è anche il nome di Santovito.

Il "Lodo Moro"

La verità sul caso dei due giornalisti è ancora in parte contenuta in documenti su cui vige ancora il segreto di Stato benché siano ormai passati oltre trent'anni. Cosa scotta ancora in quelle carte? La famiglia alcuni mesi fa ha reso nota l'ultima lettera inviata al presidente Mattarella in cui Renata Capotorti, Aldo Toni, Alvaro Rossi e Nicola De Palo hanno scritto: «Lo scorso 28 agosto 2014 sono scaduti i termini per il disvelamento completo del segreto di Stato. Rimangono però classificati gli ultimi documenti dove viene dimostrata l’esistenza della trattativa con il terrorismo arabo-palestinese. Questi documenti dimostrerebbero, almeno storicamente, che Graziella ed Italo sono stati sacrificati sull’altare della ragion di Stato. Non chiediamo la riapertura di indagini giudiziarie o di commissioni d’inchiesta, ma almeno di poter riavere i loro poveri resti». La tesi della famiglia è sempre stata quella che Italo e Graziella finirono tra le maglie di quello che è stato chiamato il Lodo-Moro, un accordo segreto tra l’Olp e Roma in cui i palestinesi si impegnavano a non creare problemi in Italia in cambio di protezione per le loro azioni.

Mappa di Beirut. Divisa dalla linea verde
Non c'è una prova del Lodo-Moro e non è detto che la loro morte sia legata, come è stato supposto, all'arresto in Italia di un palestinese implicato in un traffico d'armi che nel 1979 porta all’arresto di tre militanti dell’Autonomia Operaia e in seguito di Abu Anzeh Saleh, un tramite che si occupa del traffico di armi e che verrà scarcerato dopo venti mesi di galera. I tre di AO invece la pena la scontano per intero. E se non è neppure detto, come sostiene la famiglia, che ci sia un filo rosso che lega i palestinesi e la sparizione dei giornalisti addirittura alla strage di Bologna attraverso la figura di Saleh, è un fatto che Bassam Abu Sharif – uomo per anni a fianco di George Habbash nell’ufficio politico del Fronte popolare – ha confermato nel 2008 al Corriere della sera che quell’accordo esisteva: «Ho seguito personalmente le trattative... Aldo Moro non l'ho mai incontrato. Abbiamo discusso i dettagli con un ammiraglio, gente dei servizi segreti, e con Giovannone… a Roma e in Libano». E’ anche un fatto – ricorda il giornalista Amedeo Ricucci – che l'Olp stava preparando il viaggio a Roma di Arafat dove il capo dei capi, in ottimi rapporti col governo italiano, avrebbe incontrato il papa. Nulla doveva turbare quell’operazione. E’ un fatto anche che si fece di tutto per allontanare la pista palestinese. Che si nascose la verità. Su cui ancora pesa il segreto di Stato.

Nel turbine della guerra. Il contesto

Nel 1980 Beirut è in guerra, una guerra civile che viene combattuta tra il 1975 e il 1990, in un turbinio di voltafaccia, capovolgimenti di alleanze, distruzione, morte. Una guerra che si combatte soprattutto in città e che trasforma la “Svizzera del medio oriente” in un buco nero nel quale intervengono interessi, finanziamenti e pressioni di altri Paesi. Nel 1980 siamo tra due periodi che vedono l’intervento diretto degli israeliani che invadono il Paese una prima volta nel 1978 e una seconda nel 1982 con la famosa operazione “Pace in Galilea”. Nel 1980, la Beirut che Italo Toni e Graziella De Palo si trovano davanti è una città divisa in due dalla cosiddetta linea verde che si snoda lungo una grande arteria, la via di Damasco. La linea verde, definitivamente smantellata solo nel 1990, divide la capitale in due aree: la zona cristiana a Est, la musulmana a Ovest.
E’ qui che hanno sede le organizzazioni palestinesi cui Toni e Graziella si sono affidati. C’è l'Organizzazione per la liberazione della Palestina, il cartello unitario che è ufficialmente rappresentato da Yasser Arafat, leader di Al Fatah, la fazione che potremmo definire “moderata” o comunque quella che si muove soprattutto sul fronte diplomatico. Ma in quel cartello ci sono una miriade di gruppi e gruppuscoli che spesso si muovono con una propria personale agenda. Tra loro ci sono il Fronte Popolare di George Habbash, appoggiato da Siria e Iraq, e il Fronte Democratico di Nayef Hawatmeh, un gruppo rigidamente marxista leninista e ultra radicale. Italo e Graziella sono arrivati in Libano grazie a un accordo con il rappresentante dell'Olp a Roma Nemer Hammad che ha messo loro a disposizione un biglietto scontato, una prenotazione all’hotel Triumph e i buoni uffici con la Siria che proietta la sua ombra su tutto il Libano. Una volta a Beirut Italo e Graziella prendono accordi anche col Fronte Democratico per un viaggio nel Sud che deve iniziare il 2 settembre. E’ da lì che si perdono le loro tracce.
Per dipanare la matassa bisognerebbe che tutto fosse chiaro e limpido: senza omissis e senza prolungamenti del segreto di Stato, tutte cose che alimentano la sensazione che, anche a distanza di decenni, vi sia ancora qualcosa di imbarazzante da nascondere. Una trattativa segreta, una trama oscura, delle responsabilità insospettabili. E' in quella rete che, forse inconsapevolmente o forse per aver fatto troppe domande, finirono Italo Toni e Graziella de Palo quel 2 settembre del 1980.


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