Ora la città sembra addormentarsi e, mancano dieci minuti a mezzanotte del 31, le strade diventano silenti. E’ solo che stasera la gente è tutta in casa a festeggiare. Le élite negli hotel a cinque stelle, mi dicono, gli altri nelle abitazioni, siano slum o alloggi popolari. E così il traffico-ossessione-di-questa-città riposa anche lui e con lui le vostre orecchie. Ma ormai mi sono riappacificato con questa città che di primo acchito ti spaventa: sembra non avere identità ed essere solo un’accozzaglia di macchine e rikshaw (ce ne sono 150mila), di clacson e umanità, sporcizia e un mare di rifiuti. Mi sono riappacificato perché, come sempre, bisogna andare oltre. E, soprattutto in Asia, avere pazienza. Lo sapevo, lo so ma ogni volta ci casco.Ti assale - in questi luoghi tentacolari - un panico sconfortante a metà tra l’idea che non si riuscirà a combinare nulla e l'idea che le ore passeranno inesorabili nello sconforto di una città senza volto. Ma quel volto c’è. C’è un’identità e persino un carisma.C’è un fascino. Perdersi è l’unica strada. Mi metto in tasca la Lonely Planet (davvero ben fatta per quel che ho visto e scritta da un viaggiatore attento e profondo) e mi aiuto con le mappe, percorsi consigliati, qualche buona dritta. Poi mi lascio trascinare. Prendo la barca sul fiume che attraversa Old Dhaka e poi, dopo un tè, la riprendo all’indietro. Dietro la puzza c’è un profumo. Dietro un’umanità che appare disperata c’è un sorriso e una curiosità che si riflette in gentilezza. Una gentilezza delicata e mai invasiva. Un modo di fare che a tutta prima sembra chiuso e scortese e invece è rispetto per gli estranei. Immaginavo una città violenta e oscura. E’ solare e gentile. Inquinata, certo, e sporca e con una densità tale che si ha sempre l’impressione di essere sul filobus che va in stazione nelle ore di punta. Eppure nessuno si tocca. Tutti e tutto ti sfiorano.
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| In città ci sono pochissimi semafori e, soprattutto, sono spenti. Come facciano a guidare senza scontrarsi di continuo resta un mistero glorioso |

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