Visualizzazioni ultimo mese

Cerca nel blog

Translate

venerdì 26 gennaio 2018

Una mano di bianco sulle atrocità nel Rakhine

Dermocratico di vecchia data:
Richardson con  Biil Clinton.
 Ha appoggiato anche la candidatura di Obama
Whitewash, una mano di bianco. E’ così che Bill Richardson, un “veterano” della diplomazia e della politica americana, ha definito il lavoro dell’Advisory Board on Rakhine State, il comitato internazionale di cui fino a ieri faceva parte. L’ex governatore democratico del New Mexico se n’è infatti andato sbattendo la porta: umiliato da come sono state screditate le agenzie internazionali e il lavoro dell’Onu e offeso per un lavoro che dovrebbe far luce sul dossier rohingya, la minoranza musulmana birmana cacciata da un’operazione militare nell’agosto scorso: gli ultimi dati riportati dalla stampa bangladese si stima a 688mila il numero dei rifugiati che nel giro di sei mesi hanno abbandonato il Myanmar per fuggire nel confinante Bangladesh.



Richardson è presto entrato in rotta di collisione con l’ex vicepremier tailandese Surakiart Sathirathai - la controparte internazionale a capo del Board guidato dal ministro birmano Win Myat Aye – che gli sembrava troppo cauto e troppo attento a non offendere il Paese di cui erano ospiti. Il comitato, con membri di varie nazioni tra cui Sudafrica, Svezia o Gran Bretagna, ha il compito di verificare quanto il governo birmano stia facendo in relazione al Rapporto Annan, un’indagine nel Rakhine - lo Stato occidentale del Myanmar da dove sono stati cacciati i Rohingya - affidata da Aung San Suu Kyi all’ex segretario generale dell’Onu e conclusasi con una serie di raccomandazioni tra cui quella di mettere mano alla legge sulla cittadinanza che esclude i Rohingya dal consesso delle oltre 130 etnie riconosciute nel Paese.

Ma la sensazione di far parte di una «squadra di cheerleader» - le majorette che sfilano tra danza e acrobazia accompagnando le manifestazioni sportive – è poi diventata una decisione politica senza ritorno dopo che Richardson ha incontrato Aung San Suu Kyi, personaggio cui era legato da antica amicizia. La Nobel, che Richardson accusa di mancanza di morale sulla questione rohingya, avrebbe avuto, secondo il politico americano, una reazione addirittura «furiosa» quando l’ex ministro per l'Energia di Bill Clinton ha sollevato la questione dei due giornalisti dell’agenzia Reuters arrestati dai militari con l’accusa di rappresentare un pericolo per la sicurezza nazionale (si sarebbero impadroniti di notizie top secret) e che in realtà cercavano di scoprire quanto stava accadendo nel Rakhine. L’Advisory Board, creato a metà dicembre e che adesso faticherà a togliersi di dosso l’accusa di essere una foglia di fico che dovrebbe coprire più che scoprire, rischia così di essere l’ennesimo schiaffo al governo di Aung San Suu Kyi, che appare sempre più ostaggio delle forze armate. Alle dimissioni di Richardson potrebbero infatti seguirne altre.

Intanto la data del 23 gennaio, che avrebbe dovuto dare il via al rimpatrio dei rohingya, ha subito un rinvio che soddisfa i timori delle nazioni Unite e delle Ong internazionali – preoccupate per la condizione che i rimpatriati potrebbero trovare nel Myanmar – ma aggiunge nubi sull’accordo tra Dacca e Naypyidaw per il ritorno a casa dei rifugiati, che dovrebbe concludersi entro due anni. Dal canto suo Dacca avrebbe concluso gli accertamenti su circa un milione di rohingya fuggiti nelle pianure bengalesi cui ha esplicitamente detto di voler negare sia una carta di identità locale sia il passaporto. Il conteggio comprende dunque non solo i rifugiati più recenti (i quasi 700mila attuali e altri 80mila che fuggirono a fine 2016) ma anche altri scappati in Bangladesh negli anni precedenti. Attualmente vi sono circa 35 campi di accoglienza nella regione di Cox Bazar ma le autorità di Dacca temono che molti rohingya cercheranno di confondersi con i bangladesi per sfuggire a un rimpatrio molto poco volontario che non promette nulla di buono.

Nessun commento: