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lunedì 24 settembre 2018

La calda estate dell’Agenzia delle Entrate (2)

Quanto denaro dobbiamo all’ente statale subentrato a Equitalia? Tantissimi devono pochissimo e pochissimi devono tantissimo ma l’accanimento è sui piccoli. Viaggio nel pianeta italiano del debito


“Il valore contabile residuo dei crediti che i diversi enti creditori hanno affidato, prima a Equitalia e poi all’Agenzia delle entrate-Riscossione, nel periodo dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2017... è complessivamente pari a 871 miliardi di euro.” Così racconta in una audizione di luglio in Parlamento il direttore dell’Agenzia delle entrate Ernesto Maria Ruffini sull’operatività dell’ente pubblico (Agenzia delle entrate e Agenzia delle entrate – Riscossione) che dal luglio 2017 ha sostituito Equitalia. Per dirla in soldoni, ogni cittadino dello stivale deve allo Stato... 17 mila euro. I crediti vantati riguardano “una platea di oltre 20 milioni di contribuenti” che devono quattrini a soggetti diversi: dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, a quella del Demanio, dai ministeri alle prefetture. Ma per l’81% si tratta di “crediti di natura erariale”: a prendere il termine in senso letterale sembrerebbe trattarsi di imposte sugli incassi di spettacoli e manifestazioni sportive. Per il 14% si tratta invece di “crediti di natura contributiva o previdenziale affidati dall’INPS e dall’INAIL” ossia per lo più ditte, società di ogni tipo, imprenditori, professionisti che non hanno versato il dovuto. Resta un “2% da crediti affidati da altre tipologie di enti impositori (Regioni, Casse di previdenza, Camere di commercio, Ordini professionali ecc.)”.


Piccoli debiti e grandi evasori

L’analisi a grandi linee inserisce un distinguo tra piccoli e grandi creditori se si fa riferimento a quello che l’Agenzia chiama “magazzino” (cioè le somme da recuperare): “Il 55,1% dei contribuenti ha debiti residui inferiori a 1.000 euro al quale corrisponde circa l’1,9% del complessivo valore residuo….”. Insomma, oltre la metà e più delle persone che hanno un debito con lo Stato, quale ne sia la natura, lo ha per importi assai modesti. “Il 26,6% dei contribuenti – spiega ancora l’Agenzia - ha debiti residui da 1.001 euro a 10.000 euro al quale corrisponde circa il 3,1% del complessivo valore residuo”. Un dato dunque di importi del tutto amministrabili con eventuali condoni e dilazioni e che contiene sicuramente più contravvenzioni dimenticate che non evasione vera e propria. Cosa resta dunque? “Il 14,3% dei contribuenti ha debiti residui da 10.001 a 100.000 euro al quale corrisponde circa il 12,7% del complessivo valore residuo”. Il dato in sé può rappresentare sia chi ha cercato di ottenere un vantaggio dal trascorrere del tempo come pure una “platea” di sfortunati che, giunti all’apice di un relativo benessere, sono ricaduti indietro lasciando conti che non potevano più pagare: quello che potremmo chiamare “debito da crisi”, che dal 2008 vede un susseguirsi di licenziamenti e chiusure di piccole e medie imprese.

Si potrebbe suddividere la probabilità a metà e ipotizzare che la quota “malfattori”, rappresenti il 7% del totale. Così quella che si può definire una sorta di soglia truffaldina riguarderebbe solo tre italiani su 100. E ancora: “...il 3,1% dei contribuenti ha debiti residui da 100.001 a 500.000 euro al quale corrisponde circa il 15,8% del complessivo valore residuo”. Difficile credere che a somme tanto importanti si arrivi per dabbenaggine, dimenticanza o sfortuna e non semmai per profitto indebito. Tuttavia è difficile scompattare il dato e andare sul particolare. Ci può invece essere una maggior certezza sull’ultima percentuale fornita dall’Agenzia: “Lo 0,9% dei contribuenti ha debiti residui superiori a 500.000 euro ai quali corrisponde circa il 66,5% del complessivo valore residuo”.

Chi deve tanto non paga mai

Ricapitolando, si potrebbe dire che la somma tra gli ultimi due segmenti, cioè il 4% dei contribuenti, ha creato debiti per l’82% del magazzino. Una vera lotta all’evasione e al recupero dovrebbe dunque cominciare da qui, con interventi mirati su questi segmenti al fine di ottenere il maggior ricavo e, visto che si tratta di circa un milione di persone, si tratterebbe - con 711mila dipendenti in forza – di un carico di lavoro di una persona e mezzo a testa. In poche parole, conosciuto il problema, anziché lasciare che si diffonda l’idea che gli italiani siano tutti evasori e tartassare chi ha debiti per 1000 euro, non converrebbe puntare in alto? E no, non si può fare, perché “...il predetto “magazzino” risulta riferito per oltre il 41% a importi difficilmente recuperabili: 360,5 miliardi di euro sono dovuti, infatti, da soggetti falliti, da persone decedute e imprese cessate o ancora da soggetti nullatenenti...”. Sarebbero allora da ripensare comportamenti e regole che hanno consentito il sorgere e l’incancrenirsi della situazione anziché prendersela con l’intero Paese.

In realtà si finisce per tartassare il più debole: il debitore da 1000 euro, anche perché “...per ulteriori 47,8 miliardi la riscossione risulta sospesa a seguito di provvedimenti di autotutela... sentenze dell’autorità giudiziaria... rottamazione...”. Si tratta probabilmente di dati dissimili messi assieme generalizzando: una questione infatti è un accertamento o un atto inquinato che non garantisce più il requisito della correttezza e che andrebbe “annullato”, cancellando anche la situazione di menzione. Un’altra cosa, è la “rottamazione, procedimento liberatorio per una pluralità o singole cartelle. Ma quello della rottamazione e della nullità degli atti merita forse un nuovo capitolo anche per capire risorse e sprechi e comprendere meglio quanto ci si potrebbe e dovrebbe avvicinare a un fisco più equo e solidale.
(continua)

Questo articolo, il secondo di un'inchiesta sul debito dei cittadini, è stato scritto a 4 mani con Veniero Rossi per il manifesto ieri in edicola. La prima puntata è uscita il 24 agosto

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