un contributo
al un dossier sulle elezioni afgane
uscito il 18 ottobre su ispionline
Per
capire l’orientamento dell’Italia nella vicenda afgana è
necessario prendere in considerazione diversi aspetti: dalla
permanenza del nostro contingente militare – fino a qualche
settimana fa numericamente il secondo dopo quello statunitense –
alla politica migratoria o di cooperazione civile. Il ministero degli
Esteri ha un ufficio dedicato al Paese asiatico – col quale Roma si
era impegnata inizialmente soprattutto a sostenere il “pilastro”
giustizia e a contribuire significativamente alla missione Nato-Isaf
(fino a 4mila soldati); attualmente però l’ufficio è senza la
direzione di un “inviato speciale” (figura creata alcuni anni fa
su ispirazione americana e adottata anche da altri Paesi europei) dal
momento che l’ultimo in carica –Alberto Pieri – è stato
nominato ambasciatore a Nairobi ai primi di settembre. Quanto alla
politica di migrazione, l’Italia segue le direttive impresse nel
2016 dalla Ue con un accordo con Kabul per favorire il rientro degli
afgani. Una decisione che sollevò polemiche per il carattere
coattivo della misura – cui ha fatto seguito nel gennaio di
quest’anno, ufficialmente per motivi di sicurezza, la chiusura
degli uffici consolari di tutti i Paesi Ue, che ora rilasciano visti
per l’Europa solo eccezionalmente. Va comunque notato che l’Italia
è tra i pochi Paesi europei a non effettuare rimpatri forzati, pur
avendo aderito, come membro dell’Ue, all’accordo tra Bruxelles e
Kabul. Quanto all’aspetto militare e di strategia politica, ci si
può invece affidare solo a dichiarazioni di intenti, soprattutto pre
elettorali, da parte di chi regge l’attuale esecutivo. Dunque lo
scenario si presenta abbastanza nebuloso e incerto, pur
comprensibilmente visto che, dall’insediamento del governo, son
passati solo pochi mesi e alcune scelte o indirizzi si presentano
particolarmente spinosi specie se riguardano le sensibilità del
nostro maggior alleato: gli Stati Uniti.
Ritirarsi
o restare?
La
missione militare che costa al contribuente italiano grosso modo
500mila euro al giorno, impegna circa 1000 soldati (tra il teatro
afgano e la logistica nel Golfo) e ha tecnicamente il mandato di
contribuire solo all’addestramento dell’apparato di sicurezza
afgano. Per il quale effettivamente mille uomini sembrano un numero
sovradimensionato. Chi si aspettava svolte clamorose, sul piano del
ritiro o sulla riconversione della spesa militare in un maggior
contributo alla cooperazione civile, è rimasto per ora deluso e non
c’è segno che le cose possano cambiare a breve sebbene in passato
partiti e movimenti ora al governo (M5S e Lega) abbiano fatto del
ritiro dei nostri soldati un cavallo di battaglia.
"Sull'intervento
in Afghanistan siamo sempre stati chiari. Per noi quello è un
intervento che per la spesa pubblica italiana è insostenibile".
Così a novembre del 2017 Luigi Di Maio, in visita a Washington in
veste di vicepresidente della Camera e candidato premier in pectore
del Movimento 5 Stelle: “È
già nel nostro programma ed era già nelle nostre proposte. Ma non
siamo pregiudizialmente contro missioni di pace all'estero,
specialmente quelle a guida italiana… Non c'è pregiudizio
ideologico". Posizione reiterata in campagna elettorale a
febbraio 2018: «Pensiamo che il contingente italiano non debba più
restare in Afghanistan. Questa missione espone i nostri soldati a
rischi inutili».
Il
29 giugno 2018 la ministra Trenta, intervistata dalla rivisita
americana Defense
News,
parla di un “cambio di passo” con una possibile riduzione dei
militari da 900 a 700 unità (già stabilita però dal precedente
governo). Ma aggiunge: "Non vogliamo ridurre la stabilità o
ridurre il sostegno per gli afgani… non vogliamo indebolire la
missione, quindi cercheremo altri partner per assumere compiti come
la logistica." Il ritiro in realtà, si è saputo a inizio
ottobre, sarà soltanto di 100 soldati dall’Afghanistan entro la
fine di ottobre e di 50 dall’Irak.
La
Lega, per anni favorevole al ritiro delle truppe non solo
dall’Afghanistan, è invece diventata più silenziosa sulla
questione. La parola ritiro non figura più nei messaggi del ministro
Salvini e ricorre semmai nelle esternazioni di qualche parlamentare.
Non di meno il contratto di governo, siglato dai due partiti per
formare l’esecutivo, recita al paragrafo 9: «È opportuno
rivalutare la nostra presenza nelle missioni internazionali sotto il
profilo del loro effettivo rilievo per l’interesse nazionale».
500mila euro al giorno. Tanto costa la missione militare |
Cooperazione
civile
Se
il costo della partecipazione alle missioni militari in Afghanistan a
partire dal novembre 2001 (Enduring Freedom fino al 2006, ISAF fino
2014, Resolute Support dal 2015) è stato finora di quasi 8 miliardi
(185.343.173 milioni nel 2018 con copertura sino al 30 settembre
dell’anno in corso), gli investimenti in cooperazione civile sono
stati in totale di soli 280 milioni in diversi settori, dalla sanità
alle infrastrutture, con una sostanziale riduzione (20 mln l’anno)
a partire dal 2013. A questi vanno aggiunti i fondi veicolati dalle
Ong, attualmente scoraggiate dall’intervenire nel Paese – per
motivi di sicurezza – e non più finanziate dal ministero degli
Esteri (che gestisce il flusso di cassa in bilaterale o con
versamenti agli organismi internazionali) e che si sono pertanto
ridotte di numero dovendo dipendere dai soli fondi privati o europei.
Il futuro potrebbe essere quello di una continuità equivalente a
quella militare ma al vertice della neonata Agenzia di cooperazione
(Aics) – cui era a capo la dimissionaria Laura Frigenti - manca
però ancora un direttore e voci insistenti alla Farnesina dicono che
il ministero vorrebbe riprendere il controllo della creatura nata due
anni fa e non dimostratasi particolarmente efficiente. Il candidato
numero uno è infatti un diplomatico. Ma si devono fare i conti con
la neo viceministra con delega alla cooperazione,
Emanuela del Re, neoeletta deputata del M5S e nominata a fine luglio.
Gode della stima degli ambienti non governativi e della fiducia del
governo. Finora però nemmeno lei ha chiarito cosa intende fare in
Afghanistan.
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