Nadir Shah Sahibzada |
E’ stato ucciso venerdi a Gardez, il capoluogo della provincia dove lavorava da tre anni nella stazione radio di Sada-e-Gardez occupandosi di società e cultura. Argomenti sensibili in un’area ad alta intensità guerrigliera. Ma è difficile dire chi sia stato a uccidere - e prima torturare come rivelano le ferite sul suo corpo – il quindicesimo giornalista ucciso in Afghanistan dall’inizio dell’anno in quello che, dice Reporter senza frontiere, è stato l’anno peggiore dal 2001 per giornalisti, fotografi e operatori. Il contraltare di uno dei pochi successi dell’occupazione militare (oltre 1800 media) è anche il modo in cui si cerca di orientare l’opinione pubblica visto che, dalla Nato all’Iran, da Islamabad a Riad, il comparto media è uno dei più sostenuti da finanziatori generosi quanto pelosi. E dove sgarrare è sempre un rischio.
Ma se il bollettino della guerra tiene banco, quello della pace o supposta tale non è da meno. Ieri i Talebani hanno messo a segno un altro colpo mediatico concedendo un’intervista per la prima volta a un quotidiano giapponese, il Mainichi Shimbun, colosso dell’informazione nipponica con oltre 3mila dipendenti. A parlare è mullah Stanekzai, il capo dell’Ufficio politico di Doha e numero due del team che negozia con gli Usa: ha gettato il sasso nello stagno augurandosi che Tokio si proponga come garante degli accordi di pace. In realtà Stanekzai è stato vago, chiamando in causa sia asiatici sia europei come possibili garanti, ma al Mainichi l’idea è piaciuta molto. Poi Stanekzai è andato oltre sostenendo che i tempi stanno maturando perché - raggiunto un accordo con Washington - “...varie forze all'interno dell'Afghanistan tengano discussioni sul futuro del Paese, tra cui cessate il fuoco e regime politico… Secondo la bozza che abbiamo, dopo che tutto sarà stato finalizzato, inizierà il dialogo tra afgani, compresi Kabul, politici, attivisti e tutti gli altri". Un’apertura ma anche una chiusura: si al cessate il fuoco e persino a un dialogo intra-afgano anche col governo, ma solo dopo che il negoziato a due sarà concluso. Fonti del giornale sostengono che il divario tra le posizioni si sta riducendo tra i negoziatori ma che ancora si discute sulla tempistica del ritiro: gli Stati Uniti chiederebbero un anno e mezzo, i talebani vorrebbero sei mesi. Ipotesi. Per ora solo ufficiose.
Questo articolo è uscito staane su il manifesto
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