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mercoledì 11 settembre 2019

Afghanistan: il negoziato è morto?

“Per quel che mi riguarda il negoziato è morto”. E’ lunedi in America e in Afghanistan è già buio quando Donald Trump mette la pietra apparentemente tombale sul processo di pace coi Talebani. Zalmay Khalilzad, il suo uomo a Doha che ha sudato diverse camice per trovare un accordo, viene richiamato a Washington accompagnato dalle parole del segretario di Stato Pompeo: “In soli dieci giorni abbiamo ucciso oltre mille talebani”. Parole che chiosano l’ennesimo tweet del suo presidente “Negli ultimi quattro giorni abbiamo colpito il nemico come mai prima negli ultimi dieci anni”. Dunque?

Trump twitta di nuovo: “Ce ne andremo – ribadisce – ma con i nostri tempi” e intanto ieri il capo delle forze Usa e Nato in Afghanistan, generale Scott Miller, durante una visita nel Sud col Rappresentante civile dell’Alleanza, fa professione di fede seminegoziale: “Siamo tutti impegnati nella pace”. Si ma che vuol dire? Che il negoziato riprenderà? E con che tempi? Gli esegeti del Trump pensiero hanno un bel daffare poiché ancora non è chiaro come sia andata e cosa abbia fatto decidere a Donald (che ha intanto silurato il suo consigliere per la sicurezza Bolton contrario all'incontro) di cancellare il meeting segreto coi capi guerriglieri. Che un americano ucciso dai Talebani alcuni giorni fa – quando di militari Usa ne son morti 2.500 – abbia fatto cambiare idea al presidente sull’incontro previsto a Camp David non è pensabile. Forse Trump – così suggerirebbe la vicenda coreana – ha voluto all’ultimo alzare il prezzo, magari ridisegnando l’accordo su tempi più lunghi per abbandonare il Paese coi suoi soldati o per non abbandonarlo affatto come qualcuno vorrebbe (parte dei militari e Condoleeza Rice ad esempio). Nella logica da bazar cara a Trump (dico 100 e poi scendo a 50) l’ipotesi avrebbe senso ma nella capitale afgana gira un’altra ipotesi che taluno dà per certa. I Talebani si sarebbero irritati dell’improvviso invito non concordato e della presenza del presidente Ghani pure lui tra gli invitati: avrebbero così sdegnosamente rifiutato sostenendo che la data per la firma dell’accordo era altra e, soprattutto, che senza un garante terzo non avrebbero mai firmato. Il gran rifiuto avrebbe fatto infuriare Trump facendogli cancellare il meeting peraltro già saltato.

Secondo alcune fonti, nella capitale gira da tempo un testo in dari e pashto nel quale tutti i punti dell’accordo son nero su bianco: completi di tempi, accordi sulle basi militari, ritiro e forse anche cessate il fuoco e incontro intra afgano. Il colpo di teatro dunque avrebbe davvero mandato a monte tutto il lavoro di Khalilzad per far poi tentare a Trump di salvare la faccia. Ma ora la strada è più che in salita. C’è da aspettarsi una recrudescenza delle azioni talebane e dunque nuovi bombardamenti americani. Mai smessi per altro se quel che dice Pompeo è vero. Intanto il fragile Ghani si porta a casa le sospirate elezioni di fine settembre anche se i maligni dicono che gli Usa stanno per abbandonarlo, magari per puntare sul suo vice oppure su qualche nuovo asso nella manica. Nascosto sotto il biondo riporto del presidente.

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