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giovedì 30 settembre 2021

Afghanistan, il coraggio in una guerra finalmente finita

Giro molto per l'Italia in questi giorni per raccontare l'Afghanistan
che conosco. Ieri ho avuto l'opportunità di parlare a giovani studenti palermitani sul tema del coraggio e ho buttato giù due righe che sono il manifesto dei miei interventi. Con una notizia in testa: festeggio, perché almeno (per ora) in Afghanistan la guerra è finita 


Da giornalisti spesso ci chiediamo cos’è il coraggio? Assenza di paura? Attitudine eroica? Forza o, più semplicemente, consapevolezza del dovere di raccontare? Non c’è bisogno di essere matti o eroi per far bene il nostro lavoro ma c’è un punto che qui vorrei sottolineare in questa guerra che ho seguito dal 2007 con lunghi periodi a Kabul. E quel che mi preme è sottolineare oggi non è tanto importante il mio, il nostro coraggio di giornalisti, ma quello della gente di cui raccontiamo la vita. Un coraggio spesso nascosto e tenuto in poco conto. Anonimo. E’ il coraggio delle vittime della guerra, le vittime civili: persone che diventano solo numeri e che invece sono la testimonianza diretta del coraggio di vivere, dell’ostinazione - direi - di voler vivere.

In questa guerra terribile dell’Afghanistan sono morti circa 3000 soldati stranieri, tra cui oltre 50 militari italiani, oltre a forse altri 3-4mila contractor cioè, in totale, 7000 uomini in divisa. Ma civili afgani quanti? Delle oltre 240mila vittime del conflitto tra Afghanistan e Pakistan (ebbene si Pakistan, che di militari ne ha persi 80mila!) almeno 100mila sono vittime civili in questi vent’anni, il che fa circa 5mila ogni anno. Questo è quello che voglio sempre cercare di raccontare. Ed è anche per questo che per me la prima notizia dal 15 agosto è sempre stata questa: la guerra è finita. E se non riprenderà, questa è la vera vittoria della civiltà. Talebani o no.

Restano le responsabilità: le bombe sporche e le mine. I raid aerei che nel 2019 hanno avuto un incremento del 330 percento. Le violenze connesse alle attività della Cia che ha armato le milizie dei villaggi. E poi le incursioni, gli interrogatori violenti, l’assenza di regole e garanzie...

Torno sul coraggio: ce ne vuole da parte nostra anche per la necessità di insistere quando i riflettori si saranno sono spenti e la guerra verrà dimenticata e con lei le vittime civili e il loro coraggio. Insistere quando il giornale ti dice “ora basta, si passa ad altro”. E’ già successo in questi anni, salvo svegliarsi quando Kabul è caduta.

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