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mercoledì 13 aprile 2022

In Pakistan torna la vecchia guardia

La sfiducia parlamentare per Imran Khan domenica scorsa (174 voti su 342 seggi) ha visto protestare contro la sua defenestrazione decine di migliaia di suoi sostenitori che hanno invaso il Paese da Islamabad a Peshawar (dove Imran ha la sua base elettorale) scesi in piazza per difendere un leader definito populista ma che deve piacere a gran parte del popolino visto che è stato lui, mettendo a rischio la finanza pubblica, a scegliere di sussidiare beni primari per tentare di raffreddare la vertiginosa ascesa dei prezzi scaturita da una crisi economica che ha travolto nei mesi scorsi il Pakistan. La sostituzione, in attesa di nuove elezioni, ha fatto tornare al governo – con la nomina di Shehbaz Sharif – la Lega musulmana (Pml-N) di Nawaz Sharif, il tre volte premier poi condannato a 10 anni di galera e interdetto dai pubblici uffici il cui partito ha dominato la scena politica per decenni e che proprio l’ascesa di Khan nel 2018 aveva messo all’angolo col Partito del Popolo (Ppp) della famiglia Bhutto: aveva battuto proprio i candidati Shehbaz Sharif e Bilawal Bhutto Zardari (figlio di Benazir).

Scottati e benché sempre in rotta fra loro, i due perdenti si sono coalizzati e sono riusciti a cooptare anche gente del suo partito e alleati di governo. I 174 voti della sfiducia sono gli stessi, non a caso, che hanno eletto ieri Shehbaz, fratello minore di Nawaz. E’ il 23mo premier del Pakistan. Le elezioni sono lontane (agosto 2023) e dunque il governo a interim rischia di rimanere in vita per oltre un anno. Un anno di tempo per tenere testa a quello che rimane del Tehreek-e-Insaf (Pti) – il partito di Imran – che certo non sembra voler mollare la presa.

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