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martedì 15 aprile 2008

TERREMOTO ROSSO A KATHMANDU




Pushpa Kamal Dahal, il "compagno Prachanda" (nella foto) è l'asso pigliatutto in testa nelle proiezioni dei risultati di voto delle elezioni politiche del Nepal

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Chi ha paura del lupo cattivo? E' una domanda inevitabile se si scorrono i risultati parziali, ma assai indicativi, delle elezioni nepalesi. Altro che larghe intese! Di largo, vasto, ingombrante, scoccante, sul Tetto del Mondo c'è solo un risultato che premia il partito maoista di Prachanda che, fino all'altro ieri, imbracciava il fucile e non disdegnava di tagliare la gola ai sindaci filogovernativi. Non di meno, nel giro di un paio d'anni, i maoisti, dopo oltre dieci di lotta armata, hanno fatto un'inversione a U: si sono accordati coi partiti istituzionali, hanno fatto nascere un'organizzazione politica dal movimento popolare armato e convenuto con le Nazioni Unite le tappe dello smantellamento del loro Esercito popolare di liberazione. Del resto l'esercito reale non fece altrettante efferatezze? E' la guerra civile, bellezza. Ma ora il capitolo è chiuso. Sarà proprio così?La preoccupazione c'è in un Nepal dove la maggioranza parlamentare sarà in mano a Prachanda, dove i moderati del partito del Congresso hanno solo una manciata di seggi (per ora poco più di una ventina) e dove anche il Partito comunista m-l, che contendeva agli himalayan-mao i voti a sinistra, ha perso voti e seggi. E' inutile negarlo. Lo si è capito quando il consigliere per la sicurezza di George Bush, Stephen J. Hadley, parlando in pubblico del Tibet ha detto una mezza dozzina di volte “Nepal” alludendo ai pericoli insiti nella maniera in cui si tratta la questione del “Paese delle nevi”. Voleva dire Tibet ma diceva Nepal. Un classico lapsus freudiano poi rimesso a posto dai suoi addetti stampa che hanno spiegato che Hadley si era confuso. Gli americani sono per ora i più strenui oppositori ai maoisti nepalesi visto che la loro organizzazione figura in compagnia di Hamas o delle tigri Tamil. Ma quel che conta veramente, in quella fetta di mondo, sarà l'atteggiamento di India e Cina. Un analista indiano sostiene che Nuova Delhi è preoccupata e che i rischi maggiori arriveranno dall'assalto al Nepal Royal Army, l'esercito nepalese che reale non è più ma che resta baluardo a un possibile tentativo di far virare la democrazia “rossa” in regime, con un'accelerazione non concordata con gli altri partiti sulla gestione del paese. Com'è noto al primo punto del programma c'è la trasformazione definitiva del Nepal in repubblica. Ma alla fine della centenaria monarchia nepalese si accoppiano un altro paio di questioni tutt'altro che secondarie. E che solo in parte riguardano il destino della famiglia reale che i maoisti vorrebbero in esilio. C'è il problema della terra, della proprietà fondiaria, della speculazione edilizia che ha trasformato Kathmandu in un'enorme periferia di se stessa anche grazie alla crescente insicurezza nella campagne. E non è un caso se i maoisti nepalesi hanno vinto anche nella capitale. Una riforma agraria e del sistema di proprietà fondiaria sarà un inevitabile terreno di scontro. Si stima che in Nepal vi siano almeno 5 milioni di contadini senza terra che costituiscono quasi la metà di quel 50% di nepalesi che vivono con un dollaro al giorno per sbarcare il lunario in un paese dove l'agricoltura impiega circa l'80% della manodopera. In una nazione di montagne, la terra è poca e la migliore è controllata da una cinquantina di famiglie e da rapporti di quasi vassallaggio. C'è poi anche un problema culturale che riguarda le donne, in grandissima parte braccianti ma senza alcun diritto se non quello di obbedire ai propri mariti. Prachanda vorrà mettere forse mano anche a questo?Ai grandi vicini – India e Cina – interessa soprattutto la stabilità di uno stato cuscinetto dove nei secoli la monarchia nepalese aveva garantito ordine e disciplina. Ma quando la casa regnante si è dimostrata incapace di reggere le sorti del piccolo stato himalayano, sia Nuova Delhi sia Pechino hanno mollato la corona e lavorato ad un accordo tra i partiti. Che ai cinesi interessi la vocazione maoista del nuovo Nepal è da mettere in dubbio perché in realtà non sono stati i cinesi ad aiutare Prachanda ma semmai l'India, che ospitò la sua organizzazione in esilio e la fece incontrare segretamente con gli emissari dei partiti nepalesi. Pragmatismo insomma. Finora Prachanda è stato in grado di garantirlo in questo bizzarro laboratorio politico sul Tetto del mondo. La scommessa è aperta.

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