La torcia olimpica non cambierà il suo percorso per il sisma che ha colpito il Sichuan.
Ci sarà un minuto di silenzio poi i tedofori ricominceranno a correre. Non è solo che the show must go on, ma una scelta non priva di senso e che non si presta a letture particolari. In questa tragedia il cui bilancio cresce di ora in ora e che, tra la mattina e il pomeriggio di ieri, era già passato a 12mila vittime (ma solo Miangmyang almeno 18mila persone sarebbero ancora sepolte dalle macerie), gli interrogativi sono altri. Quelli di sempre, nelle catastrofi naturali, sull'efficenza e l'efficacia della risposta e che, come sempre accade, sono oggetto di critiche. Ma c'è un altro test interessante per capire quanto la Cina è cambiata nell'atteggiamento verso i disastri naturali che colpiscono il suo popolo, fino a ieri rigidamente oscurati dalla censura del regime e oggi, complici i nuovi media, esibiti con una certa trasparenza, scontando le inevitabili interviste ai segretari di partito e a una retorica del "tutto andrà per il meglio" che accompagna sempre, e comprensibilmente, anche ai disastri nei paesi democratici. Il test riguarda l'atteggiamento verso l'aiuto internazionale di cui abbiamo, in negativo, un pessimo esempio nella vicina Birmania di cui tutti i giornali del mondo hanno diffusamente dato conto e che ha spinto la Francia a premere sull'ingerenza umanitaria e persino l'algido segretario dell'Onu Ban Ki-moon a chiedere un corridoio umanitario accusando la giunta di "inaccettabile lentezza".
La Cina accetterà di buon grado gli aiuti esterni addolcita anche dalle considerazioni di Francis Marcus della Federazione internazionale della Croce rossa a Pechino che ha plaudito all'efficenza cinese. Ma sino a che punto? Wang Zhenyao, il direttore delle operazioni di soccorso al ministero degli Affari civili ha espresso apprezzamento per l'offerta di aiuti da parte di leader stranieri, organizzazioni umanitarie e privati tra cui spiccano i 44 milioni di dollari offerti dalla Fondazione Li Ka Shing, nata dal buon cuore dell'omonimo imprenditore (la persona più ricca di Hong Kong e la nona del pianeta, che possiede secondo Forbes un patrimonio da 23 miliardi di dollari). E di fronte ai quali impallidisce il mezzo milione promesso al telefono da Bush a Hu Jintao, il milione del Cio e persino i cinque di Tokyo. Piacciono a Pechino anche le donazioni private dei cittadini cinesi di altre regioni in passato oggetto di eventi sismici e che sarebbero già arrivate a 47 milioni di dollari. Ma anche le donazioni di colossi come le società cinesi Cosco (container) o Wanda (edilizia). In una parola i cinesi sembrano assai propensi a risolvere le cose in casa propria. Accetteranno comunque gli aiuti esterni ma sino a un certo punto e comunque hanno detto che al momento non "non ci sono le condizioni" per team stranieri, una scelta che però ha anche un suo senso perché spesso i team stranieri possono essere un dramma nel dramma. Il vero test è l'accettazione o meno di squadre e consigli dell'Oms o di quanti offriranno un aiuto di qualità nel coordinamento di uno sforzo difficile anche per le avverse condizioni atmosferiche. Ma probabilmente, come già avvenuto in altre emergenze (vedi Sars), i cinesi non si chiuderanno a riccio.
Un altro test sarà l'atteggiamento nei confronti della stampa estera, materia assai sensibile in Cina. Al momento non sembra ci siano particolari divieti o difficoltà e i media di stato lavorano a pieno ritmo. Proseguirà questo atteggiamento anche con gli inviati stranieri o scatterà il timore che vogliano raccontare solo il lato oscuro della vicenda? Resta da vedere. Intanto va registrato che l'efficenza del sistema di risposta è stata lodata anche dal Dalai Lama. Con lui però i cinesi hanno usato un'efficenza di altro tipo.
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