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martedì 13 maggio 2008
IL TERREMOTO CHE HA CAMBIATO PECHINO
Il test più drammatico per un paese si misura sempre nella sua capacità di rispondere a una catastrofe. Alle grandi emergenze che, ciclicamente, investono il mondo sotto forma di cicloni, terremoti, eruzioni vulcaniche, inondazioni. Il test ieri è toccato alla Cina di Hu Jintao e Wen Jiabao quando, erano le due e mezza del pomeriggio, a circa 90 chilometri a nord-ovest di Chengdu, capoluogo della grande provincia del Sichuan, giusto a ridosso del grande altopiano tibetano, una scossa di 7,8 gradi della scala Richter ha colpito la parte orientale della provincia. Erano le otto e mezza in Italia.
Le notizie sempre più drammatiche, nell'escalation tipica che segue a un terremoto, hanno cominciato il macabro conteggio delle vittime. Centosette il primo bilancio ufficiale che poi ha iniziato drammaticamente a lievitare. Tremila, cinquemila, settemila, ottomila...Forse di più (stamane i media cinesi scrivono 10mila) , forse di meno perché gli effetti di un terremoto si valutano sulla lunga distanza soprattutto dopo che sono passate le fatidiche 72 ore, il lasso di tempo che permette a chi può ancora salvarsi, di farlo.
La macchina della protezione civile e militare cinese si mette in moto subito. Hu Jintao si muove con altrettanta velocità e lo stesso fa il suo premier, Wen Jiabao, che parte per il luogo della catastrofe. Sarebbe facile argomentare che oggi più che mai la Cina si sente gli occhi del mondo addosso dopo i fatti tibetani e mentre la fiaccola olimpica corre sull'Himalaya e nelle pianure alluvionali del Sud. Sarebbe facile correre col pensiero alle vicende birmane in cui si assiste a una giunta militare che rallenta i soccorsi in nome del controllo paranoico su qualunque straniero metta piede nel paese.
Ma Pechino non è Naypyidaw e il regime cinese non è quello dei generali che hanno spostato la capitale in un luogo sicuro ben lontano dai rischi connessi alla presenza temibile del grande delta dell'Irrawaddy. Anche all'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, che ha registrato la scossa alle 8 e 28 italiane, dicono che la Repubblica popolare ha fatto negli ultimi anni molti progressi sia nel campo del monitoraggio degli eventi sismici sia nella macchina della prevenzione e della risposta alla catastrofi. Ma nonostante ciò il bilancio del sisma, uno dei più violenti degli ultimi anni e che segue di oltre trent'anni l'ultimo verificatosi in quella zona nel 1973, continua ad aggravarsi.
Sotto accusa, come sempre in questi casi, c'è un sistema edilizio e industriale cresciuto rapidamente e spesso in barba alle norme antisismiche che questa parte del mondo, considerata ad alto rischio, dovrebbe avere. Le notizie di studenti travolti dagli edifici scolastici o di operai schiacciati dalle masserizie crollate nelle fabbriche del paese parlano chiaro. E' il cemento armato ad essere come sempre nell'occhio del ciclone. Cede e travolge. Schiaccia e uccide. Crolla un ospedale nella città di Dujiangyan, riferiscono testimoni citati dall'agenzia ufficiale Nuova Cina, e nella stessa città crolla anche una scuola seppellendo 900 studenti sotto le macerie. Ma sono almeno cinque gli edifici scolastici collassati. Nelle fabbriche non va meno bene. Centinaia di persone sarebbero sepolte sotto le macerie di due fabbriche chimiche a Shifang dopo che l'urto sismico avrebbe causato anche un enorme danno ambientale, disperdendo decine di tonnellate di ammoniaca. Nella sola contea di Beichuan l'80% degli edifici non avrebbe resistito all'urto.
Pechino è sotto stress. Ma a differenza della Birmania non dà la sensazione di voler nascondere la realtà dei fatti. Le agenzie di stampa, controllate dal governo, battono notizie sempre più drammatiche. Le autorità si lasciano andare a stime sui morti senza apparente reticenza. Pechino, che ormai non è più un paese che riceve aiuti ma che anzi, dallo tusnami in avanti, è diventato un donatore, cerca di mostrare al mondo che è efficiente e ha a cuore il suo popolo. Certo, c'è anche una preoccupazione di immagine. Non a caso, le autorità cinesi si sono affrettate a a dichiarare che nessuna delle trentun installazioni per i giochi olimpici di Pechino – il sisma si è avvertito anche lì - sono state danneggiate dal terremoto: «sono antisismiche e nessun danno è stato constatato».
Questo articolo è uscito anche su Il riformista. Leggi gli altri articoli su Lettera22
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