Visualizzazioni ultimo mese

Cerca nel blog

Translate

domenica 5 ottobre 2008

DIARIO DALL'AVANA



L'Avana - Proprio dietro alle banchine del porto un paio di appartamenti sono franati sulla strada. Si intravedono ancora i materassi schiacciati tra le macerie, brandelli di intonaco, le traverse in legno del tetto, le pareti che, squarciate dalla forza del vento, si sono aperte sulla strada come sotto l'effetto di un bombardamento. Eppure, qui nella capitale, il passaggio dell'uragano ha fatto una sola vittima. E non solo perché l'Avana è stata assai meno toccata di altre province del paese dove la furia di “Gustav” prima e di “Ike” poi, accompagnati da altri due uragani “minori”, ha fatto veri e propri disastri: i più pesanti degli ultimi cinquant'anni. Il bilancio ufficiale è di sette morti e, paradossalmente, uno di questi era il responsabile dei piani di evacuazione, la vera e unica forza umana che si può opporre alla forza naturale degli uragani la cui stagione non è ancora del tutto terminata. Il pover'uomo, dopo aver passato la giornata a sistemare materassi nelle scuole e ad assicurarsi che ognuno avesse lasciato la propria casa, era così sfinito che si è addormentato nella sua che, come le altre, avrebbe dovuto essere evacuata. Forse ha chiuso gli occhi un momento per riposarsi un po'. Gli è crollata addosso quella del vicino.
In questi giorni una pioggia densa cade sulla città. Piove anche al mattino, il che è piuttosto insolito, e la gente guarda il cielo preoccupata sperando che l'allerta non scatti di nuovo. Le nubi si addensano creando una nebbia cosi fitta che, oltre il braccio di mare che interseca la città, non si vede l'altra parte del porto commerciale. Scrosci d'acqua e tuoni che sembrano scatenare la rabbia di Giove si abbattono sulla capitale trasformando le strade in fiumi impetuosi dove scorrazzano senza tema gli impeccabili nuovi autobus (oltre un migliaio) comperati dai cubani in Bielorussia e Cina, un paese - ha donato 2,5 milioni di dollari per l'emergenza - che sta guardando con interesse, da diversi anni, a questa orgogliosa isola dei Caraibi. Tanto orgogliosa da aver respinto al mittente un'offerta di aiuto americana di 100mila dollari. “Il fatto è – spiega Orlando Requeijo, viceministro per la Cooperazione – che volevano inviare anche una loro squadra di soccorso per fare una stima dei danni...abbiamo detto no grazie”. All'Avana era semmai piaciuta l'idea di un congressista americano che aveva proposto una moratoria di tre o sei mesi dell'embargo: per permettere a Cuba di comprare materiali negli Stati Uniti. Ma l'idea non è andata giù al presidente Bush e la cosa è finita lì. “Noi cubani vorremmo solo l'accesso al credito internazionale e poter comprare negli Usa, mercato vicino e più e economico”. Ma questo l'embargo non lo consente.
Sinora oltre una quarantina di nazioni hanno dato una mano: soldi soprattutto, e materiali. Tutti i paesi sudamericani e persino la piccola Timor Est che ha promesso mezzo milione di dollari, segnale d'attenzione molto apprezzato non meno di quello dei ciprioti (100mila dollari), in questi giorni in visita ufficiale. Ma Cipro, se si esclude il Belgio che non ha mai interrotto la cooperazione con l'Avana o la Spagna che l'ha ripresa nel 2007, è l'unico paese europeo che si è fatto avanti. Tutti gli altri, in attesa che si sblocchi definitamente il contenzioso forse nel viaggio del commissario Luis Michel il prossimo 23 ottobre, sono rimasti a tasche cucite. La cooperazione coi cubani, su iniziativa italo-spagnola, si interruppe nel 2003 col un pacchetto si sanzioni sospese poi nel 2005 ed eliminate nel 2008 ma con una clausola che ai cubani non va giù: “Se anche un solo paese si alza e se la prende con noi, il pacchetto può tornare a funzionare – spiega Requeijo – e questo ci sembra discriminatorio e punitivo”. Il viceministro dice che al momento c'è un'iniziativa francese per risolvere la questione con una proposta per riprendere con l'Avana il dialogo politico. Ma a Cuba temono che se Parigi, che ha la presidenza della Ue, non si muoverà in fretta, con l'attribuzione della presidenza della Cechia tra qualche mese e poi della Svezia subito dopo, il dialogo ne possa seriamente soffrirne. “E – dice Requeijo – bisognerebbe aspettare al gennaio 2010 quando toccherà a Madrid”.
I danni dell'ultima stagione di uragani sono stimati a circa 5 miliardi di dollari e finora la solidarietà internazionale ne ha promessi solo una quarantina. “Gli uragani hanno colpito oltre 440mila abitazioni in tutta l'isola distruggendone completamente 93mila. Ora, Cuba aveva un piano-casa per 50mila unità quest'anno. Ma adesso? Ricostruire quelle abbattute è una priorità e dunque il piano andrà a rilento. Il che è non va bene perché – ammette il viceministro – a Cuba il vero problema è la casa in questo momento”. Assai più che l'aumento dei prezzi dei prodotti agricoli – che nei mercati statali sono rimasti fissi ma che sulla piazza libera hanno avuto incrementi pesanti – o della benzina, che ha raddoppiato il suo costo, anche se, tiene a precisare Requeijo, “è il primo aumento dopo sette anni”. La crescita dei prezzi ha creato malumore. La gente si lamenta del costo delle cipolle e il quotidiano “Granma” se n'è uscito l'altro giorno con l'intera prima pagina dedicata alla promessa che il governo eviterà aumenti e speculazioni. Intanto gli alimenti scarseggiano. I negozi di verdura sono chiusi. Le uova non si trovano.
Pinar del Rio è la provincia più colpita. Dei suoi 14 municipi, nove sono in ginocchio. Dei suoi 730mila abitanti, 200mila sono stati evacuati. Le case crollate sono almeno 19mila mentre altre 90mila sono gravemente danneggiate e 29mila famiglie sono sfollate ormai stabilmente. Per permettere a gran parte degli evacuati il ritorno a casa, servirebbero circa 40 milioni di dollari che è il costo dei soli tetti. E soffrono anche gli ambulatori: 227 sono stati colpiti dall'uragano. Ciò non di meno a Pinar del Rio, regina di questo dramma naturale, non c'è stata nemmeno una vittima. Hanno funzionato i 105 centri di evacuazione della provincia (soprattutto scuole) e la solidarietà dei vicini che ospitano quelli che han perso la casa.
Ma la situazione è drammatica anche altrove, racconta Susan McDade, coordinatrice del sistema Onu nell'isola: “In totale sono quasi 2 milioni i cubani senza casa ossia quasi un quinto della popolazione. Nell'area nordorientale colpita da Ike ho visto scenari da bombardamento: alberi senza più una foglia, piante spezzate, abitazioni con le sole pareti o, come nel caso di Ibarra, case di cemento spazzate vie. Abbiamo foto di onde alte sino al quinto piano...”. La situazione è drammatica, “come è drammatico che il mondo non se ne sia quasi accorto per il semplice fatto che, quando ci sono pochissime vittime... la sensazione è che dunque il danno non sia grave”. La famiglia delle Nazioni Unite a Cuba, ossia le diverse agenzie del sistema, hanno potuto mobilitare subito quasi 9 milioni di euro, quattrini in dotazione al portafoglio dell'Onu. “Ma – dice McDade – basteranno solo per i primi tre mesi. Per andar oltre ne servono almeno altri venti. La situazione è molto grave e i cubani non stanno esagerando”. Paradossalmente i cubani sembrano persino minimizzare e di aiuto non ne chiedono. Temono, suggerisce un funzionario occidentale, che la cosa “sia sfruttata politicamente come un fattore di debolezza”. Ma i numeri restano impressionanti: solo Gustav ha mandato in rovina 55mila ettari di coltivazioni. “Il primo raccolto buono – spiega McDade – richiederà almeno tre mesi”. Il mondo se ne accorgerà?

Nessun commento: