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martedì 7 ottobre 2008

EPPUR SI MUOVE



Un filo rosso, colore del sangue, lega ormai sempre di più le vicende del Pakistan all'Afghanistan come dimostra anche l'ultimo attentato di ieri nel Punjab, dove un kamikaze ha ucciso almeno venti persone nella residenza di un parlamentare della Lega musulmana (Pml-N). L'attacco non è stato rivendicato, ma la stampa pachistana riferisce che l'attentatore aveva in tasca moneta afgana. Eppure qualcosa si muove anche sul fronte diplomatico e proprio sul dossier afgano, fatto che non può non influenzare anche quanto accade in Pakistan. La notizia arriva dalla Mecca e la riferisce la Cnn.
Secondo l'emittente americana, che cita una fonte anonima, tre-quattro giorni di intense discussioni si sarebbero svolte alla Mecca a partire dal 24 settembre scorso tra undici delegati talebani, due funzionari del governo Karzai, un rappresentante del capo mujaheddin Gulbuddin Hekmatyar (uomo che gioca in proprio e dalle alleanza variabili) e altre tre persone di cui non è nota la funzione. Gran mediatore lo stesso re Abdullah, che ha festeggiato la fine del digiuno nell'Eid el-Fitr proprio con tutti i 17 delegati: gesto di pace, inteso a dimostrare il ruolo negoziale di Riyad. La fonte citata da Cnn sostiene che il negoziato per arrivare ai colloqui sarebbe durato due anni e che i delegati talebani sarebbero stati inviati da mullah Omar col mandato di far tra l'altro sapere che il capo storico dei turbanti non ne vuole più sapere dei qaedisti, cosa già detta, seppur a mezza bocca e in più occasioni, dall'uomo che fu il miglior alleato di Osama in Afghanistan.
Presto per dire cosa salterà fuori dal negoziato e presto anche per capirne il valore poiché non molto si sa degli inviati di un governo che i talebani hanno sempre accusato di non essere altro che una marionetta in mano agli stranieri. Ma la vicenda è rilevante così come è singolare l'impegno di Riad nel ritagliarsi un ruolo evidentemente osservato con molta attenzione dai paesi occidentali impegnati in Afghanistan, molti dei quali, a cominciare dai britannici (l'opzione militare non può essere da sola vittoriosa hanno detto all'unisono il generale britannico Carleton-Smith e il ministro della Difesa afgano Wardak) interessati a trovare una strada politico-negoziale per uscire dalla palude di una guerra sempre più impopolare, oltre che in Afghanistan, ormai anche nell'opinione pubblica europea. Presto comunque anche perché la notizia è stata subito smentita: ha negato Karzai, sostenendo che eventuali trattative potranno tenersi solo in Afghanistan. E lo stesso hanno fatto i talebani, ripescando il noto adagio che riguarda l'impossibilità di negoziare finché il paese resta sotto occupazione. Ma anche le smentite fanno parte di una partita che ha una grossa posta in gioco: a cominciare dalle ricadute in Pakistan o nel vicino Iran, che non ha nascosto di considerare l'Afghanistan (come fa Islamabad verso Nuova Delhi) la sua zona di "profondità strategica" nel caso Washington scelga la guerra a Teheran. A Riad non sono meno preoccupati di esplosioni a scacchiere che rischiano di minare tutta l'Asia centrale, meridionale e mediorientale, mettendo in difficoltà anche la terra sacra alla Umma e alla monarchia saudita.

1 commento:

Strategicus ha detto...

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transoxiana@mail.com