Venezia - Nello stallo in cui sembra precipitato il processo di pace israelopalestinese sembrano emergere due tendenze. La disillusione sulla diplomazia con la “D” maiuscola e una voglia comunque di fare qualcosa. “Se non altro per non doversi dire domani che non ce l'abbiamo messa tutta”, per usare le parole di Adriano Poletti, vicepresidente del Coordinamento nazionale degli enti locali per la pace che ha organizzato a Venezia l'incontro “Facciamo pace in Medio oriente”, terza conferenza europea degli enti locali cui hanno partecipato oltre 270 delegati provenienti da molte città europee e da comuni palestinesi e israeliani. Nasce così anche la “provocazione” impossibile di tentare di gemellare, con la mediazioni europea, città israeliane e città palestinesi. “Si, impossibile - sorride Flavio Lotti - esattamente come... la pace. Ecco perché bisogna provarci”.
Fosse anche solo per il numero dei delegati, il tema della “diplomazia delle città” non sembra dunque essere stata solo una chiave in “d” minuscola. Che si è arricchita dal tentativo di capire se la costruzione di una rete di enti locali produce effettivamente dialogo e non soltanto qui in Europa dove palestinesi e israeliani si parlano salvo poi, come in molti temono, tornare ad ignorarsi una volta a casa, dov'è il conflitto a dettare le regole della convivenza.
Ospitati da provincia e Comune di Venezia nella rinnovata isola di san Servolo (un tempo Cayenna veneziana e poi manicomio che venne chiuso con la legge Basaglia), israeliani, palestinesi ed europei (dagli spagnoli ai francesi, dai belgi agli olandesi) si son chiesti se si può “accerchiare” la diplomazia delle capitali partendo dagli enti locali e dal territorio. Ma senza ignorare il quadro internazionale e il proprio ambito nazionale per evitare il “piccolo è bello” del singolo progetto che magari costruisce il pozzo nel villaggio, ma che non riesce a diventare poi strumento di pressione politica. Fare i conti coi grandi decisori dunque, ma anche con una rivendicazione di autonomia e con gli interrogativi sul ruolo della cooperazione decentrata, sulla sfida delle città e, soprattutto, sul rapporto che poi i gli amministratori degli enti locali (qui e là) hanno coi propri cittadini.
“Facciamo pace in Medio oriente” intanto ha fissato un obiettivo italiano: la creazione di una rete di almeno cento enti locali decisi a lavorare “con realismo” per la pace tra israeliani e palestinesi, con iniziative concrete di solidarietà e di cooperazione che abbiano come protagonisti comuni, province e regioni. Ma c'è ben di più: “chiediamo alla Ue - spiega Flavio Lotti - di far crescere il suo ruolo politico nel processo negoziale e di non sprecare la disponibilità delle città europee nel partecipare attivamente a questo sforzo”. Come? Con progetti concreti a cominciare da campagne di coinvolgimento dei cittadini europei e, in Medio Oriente, rafforzando la qualità dei progetti di cooperazione decentrata. Ma anche sviluppando “partenariati e gemellaggi con le città palestinesi e israeliane impegnate per la pace” conclude Lotti. E lavorando soprattutto con i giovani, per fare “un passo nel futuro, nella cultura della pace, dei diritti e della riconciliazione”.
Il documento finale dell'incontro di Venezia sarà in realtà presentato a fine novembre a Istanbul al Consiglio mondiale delle città. Da lì dovrà venire il mandato forte, una luce verde perché le città si mettano in moto per la pace in Medio oriente. Trasformando la solidarietà in pressione politica sulle istituzioni e la diplomazia con le iniziali scritte in maiuscolo.
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