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martedì 9 dicembre 2008
LA NASCITA DEL WEBTER, IL REPORTER DEL WEB
Servono ancora i quotidiani cartacei? E c'è qualcuno che li legge? Il giornalismo è morto e i giornalisti sono stati uccisi dal web? Si e no ma qualcosa è successo. E sta nascendo una nuova figura professionale: il webter o webreporter. Edizione moderna del cronista d'antan. In questo articolo scritto per La Differenza, riflessioni tra edicola e www Nella foto, giornalisti di vaire parti del mondo durante un vertice della Fao a Roma
I giornalisti della carta stampata dovrebbero iniziare a dirlo abbastanza chiaramente. Il giornalismo scritto sui quotidiani, quello che per anni ci ha accompagnato mentre portando a spasso il cane andavamo in edicola, è moribondo. Forse è persino già morto anche se i dati delle vendite (o meglio delle tirature) non lo rivelano perché, tra le prebende di stato (sacrosante per i giornali) e le esigenze della pubblicità, se nessuno o quasi compra più il giornale, caso mai lo si regala.
Personalmente, avendo qualche diffidenza sulla supposta scientificità e asetticità dei numeri, mi affido alla vista e al naso. E, se ci fate attenzione, i giornali sembrano spariti: il treno, la manna per quotidiani e periodici, non è più il posto dove si legge il giornale. Ci avete fatto caso? Tutti hanno l'ipod o il pc e quando la connessione sarà stabile anche sul treno, il volume di diavolerie informatico-tecnologiche darà alla carta stampata (ma non ai libri) il colpo di grazia, anche se i giornali ve li continueranno a regalare in prima classe e, sui treni dei pendolari, pure in seconda. Eppoi ci sono a disposizione (con tutto il rispetto per chi ci lavora e salvo qualche rara eccezione) diversi prodotti di giornalismo in pillole, molto spesso spazzatura, che regalano nel metrò o per strada. La gente gli da un'occhiata distratta, spera in qualche tetta o bicipite umido che illuminino la giornata, e butta nel cestino. Tutto concorre ad affossare il quotidiano di carta.
Il giornalismo scritto è morto? Bhe, certo che no, ma si sta trasferendo altrove.
Quali siano le cause di questo cambiamento è difficile dire. Il prezzo dei quotidiani, la loro autoreferenzialità (se state via tre giorni dall'Italia non capite più di che si sta discettando), il fatto che negli ultimi anni cercano di assomigliare alla tv, la concorrenza della free press e di internet e un affaticante generalismo per cui si cerca di mettere di tutto di più senza mai approfondire nulla. Se pensavate che il giornale servisse ad approfondire quello che la Tv vi dice in 40 secondi, liquidando la strage di Mumbai in uno spot dove manca solo il prodotto da vendere, rimanete delusi: sui quotidiani (salvo naturalmente le sempre lodevoli eccezioni) c'è la dichiarazione della star di Bolliwood, la soap opera pachistana che invade gli schermi, la Rice che aveva il vestito con l'orlo staccato e la figlia del premier che vorrebbe ma non sa giocare a cricket. Stiamo ovviamente esagerando ma, almeno in Italia, il genere di informazione che va per la maggiore (il retroscena leggero) è un po' così.
Il lettore accanito, quello che vorrebbe sapere e capire, non ha allora molta scelta. L'informazione generalista l'ha ricevuta supinamente dalla tv o dalla radio (quella si resta immortale) e dunque il giornale appena acquistato sembra già vecchio e pure parecchio “leggero”. Se manca il valore aggiunto che si fa? Si va in rete. Ovvio no?
Oggi il web è una grande fucina di informazione generalista ma anche un'enorme pozzo di San patrizio dell'approfondimento, la notizia di nicchia, il commento non superficiale. A costo zero. Inoltre il pubblico italiano, che i nostri giornali considerano sempre a un livello medio scolare da scuola di avviamento (erano gli istituti secondari che esistevano prima della media unificata e in cui andavano i poveracci cui toccava subito lavorare), su certi temi è totalmente disinformato. Prendo come esempio ancora Mumbai e la politica estera, che è la materia dell'agenzia in cui mi guadagno il pane (Lettera22.it, una testata telematica che però lavora anche per la carta stampata): se scoppia l'India, le pagine monografiche sui giornali si scatenano per quattro cinque giorni. Dimenticando il resto del mondo. Ma anche lì....Sapevate che mentre succedeva il pandemonio a Mumbai, a Karachi, in Pakistan, la comunità pashtun e quella dei residenti originari dall'India si massacrava a pistolettate? Chi se ne frega direte voi. Bhe certo, se il subcontinente indiano non è tra i vostri interessi primari, si capisce. Ma se lo è – qui volevo arrivare – se volevate in effetti saperne di più, basarvi sui soli quotidiani italiani non vi sarebbe bastato. Non avevano spazio per le vicende di Karachi che pure hanno seppur indirettamente a che vedere con Mumbai (vi risiede uno degli indiziati della strage). E allora il web. Sempre di più. Lo spazio è infinito, la roba tanta. E qui viene il punto.
Se avete preso questo articolo per un requiem del giornalismo scritto vi sbagliate. Una nuova figura professionale si sta formando e si tratta del webreporter. Un po' webmaster, un po' surfista, un po' topo di biblioteca, un po' curioso, il webter lavora per voi. Fa quello che prima si faceva negli ormai obsoleti giornali cartacei: sceglie, legge, mette a posto, consiglia. Gli esempi che ho in casa da proporvi sono due: il primo è Lettera22, che fa questo mestiere per i quotidiani per cui lavora e per i suoi weblettori. Non copia (solo) dalle agenzie perché sennò i giornali l'articolo se lo farebbero da soli e, quando non può accedere a fonti primarie, scava nel web. La stessa cosa fa l'esperimento “Dossier Afghanistan” di Asia Maior (un'associazione di asiatisti di cui faccio parte). Legge la stampa estera e seleziona e consiglia un certo numero di articoli con una breve intro in italiano che faciliti il lettore. Non solo stampa estera, pesca anche dai blog selezionati. Dà gli elementi, decida il lettore cosa vuole leggersi.
Un po' alla volta, e se la webtestata si guadagna fiducia e autorevolezza, si “fidelizza” il surfista che è capitato sulle vostre pagine. Lettera22, dopo diversi anni di lavoro sul web, ha capitalizzato una media di 1500/2000 visite singole quotidiane. Come un piccolo giornale in edicola e senza costi di distribuzione. “Dossier Afghanistan” è appena agli inizia ma vi sapremo dire.
Nuove forme di giornalismo, dunque, nuove figure professionali. Il giornalismo scritto non muore mai. Ma il web – attenzione – è esigente. Non è che esser gratis sia sufficiente (vedi free press e cestini annessi). Bisogna dare roba di qualità per fidelizzare i lettori. E lì c'è anche la chiave di come mantenersi sul web: abbonamenti per certe sezioni (l'archivio o certi articoli), la pubblicità etc. Forme ancora da studiare ma in espansione. Un mondo in movimento, tutto da surfare. Anche in treno tra un po'.
E i quotidiani? Non moriranno, state tranquilli voi che amate – come me - il cappuccino sul lungo mare con cornetto in bocca e “fresco di stampa” sotto gli occhi. Ma – con la globalizzazione del mercato ittico - serviranno sempre di più per incartare il pesce.
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2 commenti:
Ho letto con interesse, come sempre, ma il fatto che tu non faccia numeri è importante perché purtroppo i numeri sono importanti.
E i numeri dicono che tuttora le edizioni online generano, negli SU come da noi, non più del 10% degli utili e ci vorranno anni per arrivare al 20%.
Quindi il discorso può essere scisso in due. Da una parte c'è la crescente prescindibilità della stampa scritta dal punto di vista contenutistico-culturale ma dall'altra c'è l'insostenibilità del giornalismo online dal punto di vista economico.
Il discorso potrebbe essere invertito non cambiando il prodotto. Il giornalismo online è sempre più centrale ma quello cartaceo lo mantiene.
Tu stesso mi saprai rispondere che non ti guadagni da vivere con Lettera22 online ma con gli articoli che Lettera22 vende e poi escono su carta. Ovviamente Lettera22 online serve a molte cose, ma se smettessi di avere committenti terzi l'online sarebbe lungi dall'essere autosufficiente.
Fino a quando allora è la domanda... le previsioni fatte sui fatturati sono più a lunga scadenza di quello che sembra rispetto alla prassi quotidiana di chi sui/con i giornali e l'informazione ci lavora.
un abbraccio
Gennaro
Altro punto che si può collegare a quanto scritto da Gennaro: chi pagherebbe quelli che vanno di persona in India o in Pakistan per fornire materiale al "webter", cioè all'aggregatore umano di notizie ?
saluti
Filippo
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