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mercoledì 21 gennaio 2009
I CAVALIERI (SELVAGGI) CORRONO ANCORA
“Cavalieri selvaggi” (titolo originale The Horsemen è un film del 1971 di John Frankenheimer ritenuto, a torto, di serie B. Il lungometraggio, diretto da un regista di capolavori del calibro di “Birdman of Alcatraz” (L'uomo di Alcatraz), Paolo Mereghetti, il noto critico del Corsera, lo stronca a piè pari nei suoi dizionari di cinema. Ma forse Mereghetti non è mai stato in Afghanistan. O almeno non quando ci andò il vecchio John, allora men che quarantenne (e non gli auguro proprio di venirci adesso al Mereghetti).
Il film, con un cast di primissima forza (Jack Palance nella parte del padrone delle scuderie, un'affascinante e peccaminosa Leigh Taylor-Young e Omar Sharif nel ruolo del chapandaz, i mitici cavalieri del buzkashi), ricostruisce il paese ai tempi della monarchia con una precisione rara e una capacità di rendere quell'atmosfera, effettivamente magica, che aveva l'Afghanistan in pace di re Zahir. Una ricostruzione attenta che supera la storia del film (che in sé non è effettivamente granché) ma che mostra quel paese com'era, pur visto dagli occhi di un americano che, evidentemente, se n'era innamorato. E' oggi uno dei rarissimi documenti su quell'epoca, un pezzo di storia poco raccontato.
Io, che credo di averlo visto una decina di volte, ammetto di avere nei confronti di quel lungometraggio una passione forse esagerata anche dalle mie continue frequentazioni del paese, ma penso anche che sia uno dei capolavori del vecchio John, un pezzo importante della storia del cinema americano e un tassello fondamentale dell'epopea afgana.
Ammetto anche che la visione di "Cavalieri selvaggi" è anche legata a un periodo particolare: i ruggenti Settanta quando iniziammo a scoprire da giovinotti l'Afghanistan e il film, prodotto nel '71, sbarcò qualche anno dopo anche in Italia. Come Mereghetti, i cinema italiani lo snobbarono. Tranne uno, la mitica sala (di terza visione") dell'Abanella di Milano - dietro la stazione centrale - che proiettava, per poche lire, i film del nuovo cinema americano (“Il laureato” era un must, ma poi anche “Punto zero” col mitico Kowalski, “Comma22” e l'immancabile “Woodstock”). A un certo momento sbucano i “cavalieri selvaggi”. Fu un tripudio dei sensi: un viaggio per chi non c'era ancora stato, un bi-viaggio per chi era appaena tornato dalla terra del buzkashi , di cui vi prometto in futuro ottime foto di un amico che le ha appena scattate quest'anno. I cavalieri selvaggi ( e faccio notare che nel titolo originale “selvaggi” non c'è, ma via prendiamolo per buono) ancora corrono. Nonostante tutto.
Per saperne di più ecco qui le notizie sull'edizione italiana
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