L'inviato della Casa bianca Richard Holbrooke sta per arrivare a Kabul. La città è in tiepida attesa. Si avete letto bene, tiepida. Non nel senso che se ne freghi, ma certo l'attesa non è trepida. Non ci si aspetta granché dall'inviato speciale americano perché il suo sembra più un tour per prender le misure che per dettar regole. Ci si aspetta semmai un incremento del traffico, strade bloccate e gipponi che scorrazzano facendo segni imperiosi agli incroci. Ma l'attesa è tiepida perché quella di ieri è stata forse la prima vera giornata di sole primaverile.
Iniziata male, con cielo grigio, si è messa bene verso mezzogiorno-l'una, in tempo per fare una passeggiata. Mi son venute in mente, dal profondo della memoria, certe mattinate in India, quando il sole non è ancora cocente e si respira coi polmoni aperti un'aria che ha un odore denso, anzi un sapore preciso, particolare, che si mescola a quel taglio speciale che prende la luce una volta che avete varcato a Istanbul la Sublime Porta. L'aria d'Oriente. Un misto di spezie e carbonella, benzina mal raffinata e profumo di nevi perenni. Mischiati a una luce trasversale che, come sapete bene, tra un attimo diventerà la lama affilata di un caldo insopportabile. Ma a 1800 metri questo rischio, di febbraio, non si corre. E per la prima volta forse oggi, o così mi è sembrato, la giornata si è allungata più del solito. Rimandando la notte.
Si può godere di queste cose anche in una città assediata, oltre che dai talebani e dai fantasmi di trent'anni di guerra, anche da un'opprimente paranoia? Si può. Basta scostare per un momento la finestra e aprire i polmoni e i ricettori sempre all'erta dell'anima e della memoria.
1 commento:
e io che sono andato a leggere per avere notizie di prima mano, che di quelli di repubblica non so se fidarmi!
lucapa
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