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venerdì 29 gennaio 2010

DOPO LONDRA?


Il “karakuli” grigio calcato sulla testa. Giacca e camicia scura. Un elegante “chapan”, il mantellone che lo ha reso famoso, appoggiato con nonchalanche sulla sedia prima di avvicinarsi al podio. Eccolo Hamid Karzai, tornato protagonista indiscusso delle vicende afgane che si avvicina al microfono per un discorso di venti minuti. Ringrazia i suoi co-anfitrioni, Gordon Brown e Ban Ki-moon, e prende la parola per dire quel che tutti si aspettano, già sanno, già hanno con lui concordato prima dell'inizio della Conferenza sull'Afghanistan, cotta e mangiata ieri a Londra in una giornata.

Raramente una conferenza internazionale, che si ripeterà tra un anno, è stata annunciata nei contenuti con tante fanfare, interviste, anticipazioni indiscrezioni. Karzai ci mette un po' prima di arrivare al punto ringraziando prima, con cortesia, la “comunità internazionale” per lo sforzo e l'impegno. Poi enumera un piano in sei punti che è un manifesto di buona governance come tutti si aspettano. Al primo punto c'è il piano di riconciliazione nazionale ampiamente descritto nei giorni scorsi e che ha avuto, più importante fra tutte, la benedizione del comandante Stanley McChrystal, il generalissimo americano che sembra il convitato di pietra della conferenza.

Avrà i suoi soldi Hamid Karzai per “comperare” i talebani moderati e avrà la sua “Loya Jirga”, la grande assemblea tribale che i neocon americani avevano sbeffeggiato come un rimasuglio di anticaglie tribali e che ora, in primavera, si trasformerà in una possibile palestra di democrazia interna se, come Karzai spera, i capi talebani (chi, quali, quanti resta da vedere) accetteranno di sedersi al tavolo. Tavolo presieduto dal monarca arabo Abdullah dei Saud, un uomo potente che tira le fila di una mediazione che si era data per semi defunta. Avrà denaro Karzai, armi e sostegno. “Per almeno 15 anni” chiede il presidente. Poi si vedrà.

Gordon Brown si sbilancia un po' meno. Calendari non ne fissa, di talebani al tavolo negoziale non parla apertamente ma di fatto lascia intendere che l'appoggio occidentale c'è tutto. Nella dichiarazione finale della Conferenza ci si impegna a rafforzare il governo e le forze di sicurezza nella lotta contro i militanti di Al Qaeda e viene ribadito l' “impegno a lungo termine” della comunità internazionale con un occhio alla promessa “transizione”. Entro 5 anni. Il documento dice che la conferenza “rappresenta un passo decisivo per una maggiore leadership afgana per rendere sicuro, stabilizzare e sviluppare l'Afghanistan”. Apre, senza far date, anche la strada al disimpegno dal Paese non appena ci si sarà “assicurati che il governo afgano sia sempre più in grado di assicurare le necessità degli afgani, sviluppando le istituzioni e le risorse del Paese”. Qualche data Gordon Brown la fa: la metà del 2011, deadline per “invertire la rotta” nella lotta contro la guerriglia. Un anno di tempo insomma per modificare il corso della guerra e un anno di tempo, dunque, per avviare trattative e portare a casa il maggior numero di manodopera talebana.

Per Brown la Conferenza segna “l'inizio del processo di transizione” che dovrà dare agli afgani il comando del loro stesso paese. Passo indiscutibile, il rafforzamento dell'esercito nazionale e della polizia. Con queste scadenze: l'Afghan National Army sarà di 134mila uomini entro l'ottobre 2010 e di 171.600 dodici mesi dopo. Così la polizia: 109mila entro l'ottobre di quest'anno, 134mila per ottobre 2011. Un totale di 300mila uomini entro ventun mesi da oggi. Non lontano dai 400mila richiesti da McChrystal.

Ma l'Occidente ha anche da chiedere: lotta senza quartiere alla corruzione. La risposta è già pronta e Karzai promette la creazione di un'istituzione esterna con il compito di monitorare l'impegno degli afgani. Sarà formata da esperti internazionali.

Ban Ki-moon, se la cava in dieci minuti. Discorso piatto e grigio da cui non emerge nessuna novità se non la nomina di Staffan De Mistura come l'uomo che prenderà in mano la missione Unama da cui Kai Eide, l'ultimo reggente, si è dimesso anzitempo. Dopo aver cantato il rituale grido di dolore sul problema della sicurezza, il segretario generale accenna, quasi di sfuggita, a uno dei capitoli più spinosi della guerra: il rapporto tra cooperazione militare e civile che, dice, richiede “un approccio più equilibrato, come due poli di eguale valore nel processo di stabilizzazione e sviluppo del paese”. Fa insomma carta straccia delle polemiche che hanno accompagnato Unama, la sua debolezza intrinseca, l'eccessiva dipendenza dal governo afgano e dai comandi Nato che tante polemiche hanno suscitato. Carta straccia dei consigli che Eide, fautore di un maggior impegno “civile” - declinato punto per punto - ha fatto al Consiglio di sicurezza non più di un mese fa. Auguri a Staffan De Mistura.

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