I "venti di guerra" ricominciano a spirare sul paese dei cedri. Ma intanto c'è un'altra guerra in corso. Quella contro l'identità architettonica della città. In gran parte già vinta
Beirut - Il primo ministro libanese Saad Hariri è stato un po' più che esplicito dicendosi preoccupato dell'escalation di minacce che Israele sta facendo nell'intero scacchiere mediorientale: in un'intervista alla Bbc, Hariri ha detto che la violazione dello spazio aereo è “quotidiana” e che la prospettiva di “un'altra guerra con Israele” non è un'ipotesi remota.
Un vento gelido ha spazzato per una settimana il Nord del paese ma i suoi effetti si sentono fin sulla Corniche dove la vita notturna non sembra però subire battute d'arresto nonostante i "venti di guerra". Ma la preoccupazione per gli affari c'è tutta. Nello sfavillante “new city center”, una serie di vie perfettamente ristrutturate dove sfavillano le vetrine tirate a lucido di Dior o della Nike e dove un paio di scarpe costa assai di più che nella capitali europee, non c'è anima viva e il quartiere modello di una nuova era di buoni affari coi cuginetti del Golfo – un'area della città senz'anima ossessivamente ripulita da spazzini siriani o etiopici - sembra il manifesto di una paura che incombe su un ottimo business.
A parte lo scintillante e un po' desolante shopping mall da 300 milioni di dollari costruito da Solidere, una società per azioni che fa capo alla famiglia Hariri che si è procurata ottimi appalti nel nuovo piano di ricostruzione della città giocando tra diritto pubblico (concessioni e finanziamenti per gli espropri) e interesse privato, il boom edilizio va a gonfie vele. Negli ultimi quattro anni l'aumento del prezzo degli immobili è salito del 30% con prezzi che variano dai 5 agli 8mila dollari al mq. Ma anche altri settori hanno dato ottimi segnali: il turismo ad esempio, che secondo i dati appena diffusi, ha visto 1,8 milioni di stranieri visitare il paese, portando nelle casse libanesi circa 7 miliardi di dollari. Un record che sembra far tornare la città ai bei tempi andati quando, prima della guerra civile del 1975-1990, i visitatori erano un milione e mezzo. E' pur vero, suggeriscono gli scettici, che dentro la voce “turismo” ci sono sicuramente i libanesi della diaspora, uno “stato” all'estero che conterebbe circa 14 milioni di esuli (di cui dieci solo in Brasile) per un paese – il Libano – di soli quattro milioni di abitanti. Ma diaspora o turismo, i soldi corrono. Anche a spese di un'identità architettonica seriamente compromessa.
I vecchi palazzi di epoca ottomana o le belle magioni del mandato francese sono sempre più decadenti. Nel giro di pochi mesi vengono liberate dagli inquilini e sono rapidamente candidate alla demolizione. Il quartiere residenziale di Ashrafieh è uno dei manifesti di quest'andazzo le cui dimensioni si coglieranno nel tempo. Ma le gru lavorano lungo tutti i quattro punti cardinali. Resta appena fuori dai giochi, poco più in là, la via centrale di Gemmayze che si è riempita di locali e ristoranti sostituendo la storica Rue Monnot di Ashrafieh dove, a un certo punto della sua brillante vita notturna, Hezbollah aveva imposto una sorta di coprifuoco ai luoghi dello scandaloso piacere beirutino. Ma anche a Gemmaize ci sono le gru. Possono ben più del Partito di Dio.
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