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giovedì 11 febbraio 2010

HARIRI FA LA VOCE GROSSA

Beirut - Fino ad ora erano state soprattutto indiscrezioni. Mezze frasi, boatos, possibilità. Ma ieri il primo ministro libanese Saad Hariri è stato un po' più che esplicito dicendosi preoccupato dell'escalation di minacce che Israele sta facendo nell'intero scacchiere mediorientale. In effetti da che la missione Onu-Unfiil ha preso possesso dell'area Sud al confine con Israele, dopo la guerra del 2006, le “provocazioni” sono all'ordine del giorno. Un funzionario delle Nazioni unite ci dice che gli aerei di Tsalal violano spesso lo spazio aereo libanese: un giretto e via. Violazioni costantemente denunciate dalla missione il cui comando è ora passato da mano italiana a cappello spagnolo. Ma ieri, in un'intervista alla Bbc, Hariri ha detto che la violazione dello spazio aereo è “quotidiana” e che la prospettiva di “un'altra guerra con Israele” non è un'ipotesi remota.

Che lo stato ebraico sia scontento di Unifil non è una novità: il disarmo di Hezbollah resta una buona intenzione e dunque per Israele la violazione dello spazio aereo, benché non rivendicata ufficialmente, è un modo neppur tanto velato per far sentire che la macchina bellica è sempre all'erta.

La vicenda sta destando preoccupazione non solo nel milieu politico ma soprattutto nel mondo degli affari: gli investitori stranieri stanno alla finestra per vedere cosa succederà. Negli ultimi giorni la guerra di parole tra Israele e la Siria si è fatta più aspra e il riflesso nel paese dei cedri è stato immediato tanto da fra uscire allo scoperto il premier libanese proprio alla vigilia del 14 febbraio, anniversario delle morte di suo padre Rafik e giorno in cui la coalizione che guida il nuovo governo di Beirut ha chiamato tutti i libanesi in piazza. Per ricordare la strage ma anche per dimostrare la forza di un paese in realtà molto debole, strattonato dai comprimari di una scena complessa e dove i venti di guerra non esitano a soffiare.

Secondo Hariri negli ultimi due mesi Israele ha calcato la mano. Una “escalation” che non promette nulla di buono e che, secondo Hariri, conta sulle tradizionali divisioni politico confessionali del paese. Ma questa volta, dice il premier, il Libano saprà dimostrarsi unito in caso di guerra. Una dichiarazione fors'anche in chiave interna, in un paese dove i membri di coalizioni piuttosto eterogenee cambiano spesso bandiera ma dove Israele compatta gli animi.

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